lunedì 1 luglio 2024
«Sono tali solo se sostituiscono le funzioni vitali»: ecco l'atteso parere a larga maggioranza su uno dei quattro criteri per accedere al suicidio assistito. Un intervento a tutela della vita fragile
Cosa ha deciso il Comitato di bioetica sui trattamenti di sostegno vitale
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I trattamenti di sostegno vitale «sono indirizzati alla risposta a condizioni che mettono a rischio la vita, in un arco di tempo breve o addirittura brevissimo»: dunque il loro concetto va «applicato a quei trattamenti che non si limitano a un semplice sostegno, ma costituiscono una vera e propria sostituzione di funzioni vitali» con «la morte del paziente» che «a seguito della loro sospensione conseguirebbe in tempi molto brevi». È il punto centrale del parere pubblicato dal Comitato nazionale per la Bioetica, organismo pluralista di consulenza della Presidenza del Consiglio, che ha dato l’attesa risposta a un quesito sollevato dal Comitato etico territoriale dell’Umbria «in merito ai trattamenti di sostegno vitale», come spiega una nota del Cnb. Il parere interviene dunque su uno dei quattro criteri fissati dalla Corte costituzionale con la sentenza 242 del 2019 sul caso Cappato-dj Fabo, verdetto che sancì – ricorda il Comitato – «l’illegittimità costituzionale dell’articolo 580 del Codice penale nella parte in cui non esclude la punibilità di chi agevola il suicidio di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale, affetta da patologia irreversibile e capace di decisioni libere e consapevoli, se tali condizioni sono verificate da una struttura pubblica del Servizio sanitario nazionale e previo parere del comitato etico territorialmente competente, e se al paziente sono state offerte cure palliative». I casi di persone che da allora hanno chiesto di accedere al suicidio medicalmente assistito in assenza di una legge nazionale (ora in gestazione al Senato) e anche in assenza del criterio di cui ora il Cnb si occupa hanno reso necessario un chiarimento di cosa si intenda per “trattamenti di sostegno vitale” (Tsv) per distinguerli «dalle terapie ordinarie».

Il Comitato «ha rilevato che, in letteratura medica, non esiste una definizione condivisa di Tsv. Ciò ha imposto di unire le considerazioni cliniche a quelle bioetiche e giuridiche sottese alla sentenza della Consulta, al fine di poter offrire una risposta. Tale risposta, quindi, si configura nell’elaborazione di un criterio flessibile, che permetta d’inquadrare i Tsv in relazione alle loro finalità, alla loro intensità e alle conseguenze della loro sospensione; ciò deve sempre essere letto nel contesto del pronunciamento della Corte costituzionale». Il parere è stato adottato a larga maggioranza (19 favorevoli, 5 con una posizione che integra il parere con una puntualizzazione e altri 4 che non hanno partecipato al voto) al termine di un dibattito naturalmente animato, viste le differenti posizioni all’interno del “parlamentino bioetico” italiano, posizioni che – nota il Cnb – «riflettono la complessità del tema, peraltro in continua evoluzione, in relazione ai progressi scientifici e medici». A favore di una rigorosa tutela della vita umana nella condizione di massima fragilità sono dunque in tutto 24 membri del Cnb. In sintesi, quanti hanno votato a favore del parere «ritengono che i Tsv debbano costituire una vera e propria sostituzione delle funzioni vitali, e che la loro sospensione debba comportare la morte del paziente in tempi molto brevi», con la precisazione per alcuni che «il “sostegno” possa avvenire anche tramite piani di assistenza complessi, e che l’impatto sull’individuo e la sua percezione personale siano rilevanti». Una sfumatura che non incrina la maggioranza larghissima raggiunta dal consesso bioetico-scientifico su un punto decisivo.

Ma come si è arrivati alla conclusione adottata a maggioranza? «La Corte costituzionale – spiega la nota del Comitato che accompagna il testo integrale del parere, particolarmente complesso e articolato – ha bilanciato l’autodeterminazione con la tutela della vita, limitando l’area di non punibilità dell’aiuto al suicidio a condizioni specifiche. In tale contesto, i Tsv sono da considerarsi un requisito che deve esprimersi all’interno di un quadro clinico grave, non solo perché la persona è tenuta in vita da un trattamento specifico. Il documento rimarca come sia essenziale – dunque - proteggere i pazienti più fragili e vulnerabili, garantendo che il quadro giuridico e bioetico definito dalla sentenza della Corte costituzionale sia rispettato e applicato correttamente».

Il documento, che arriva pochi giorni dopo la sentenza con la quale la Corte europea dei diritti umani (Cedu) aveva dichiarato non illegittimo il divieto di suicidio assistito da parte di uno Stato, va a contribuire alla documentazione cui i giudici della Corte costituzionale stanno facendo ricorso per elaborare un nuovo intervento – atteso a giorni – sulla liceità o meno di ottenere l’assenso all’aiuto al suicidio da parte anche di pazienti che non dipendano da Trattamenti di sostegno vitale nella concezione più restrittiva e di garanzia adottata dal Cnb o che debbano ricorrere a terapie che andrebbero considerate Tsv secondo l’opinione di chi non ha partecipato al voto. Al parere è allegato un parere di minoranza con sette firme che intende per Tsv «qualsiasi trattamento di carattere anche farmacologico o assistenziale dalla cui sospensione discende, anche in tempi non rapidi, la morte del paziente». Una posizione che tuttavia collide con il punto fermo fissato dalla Consulta quando nel 2019 volle comunque chiarire che definire un’area assai circoscritta e ben definita di non punibilità per l’aiuto al suicidio non può mai significare introdurre un “diritto di morire” che i giudici costituzionali (e dopo di loro adesso anche i colleghi della Cedu) hanno dichiarto inesistente.

È quanto la maggioranza del Cnb assume quando stabilisce (paragrafo 5 del parere) «la limitazione del concetto di Tsv, ai fini dell’applicazione della sentenza, ai trattamenti sostitutivi delle funzioni vitali, in ciò ben distinti dai trattamenti ordinari e dalle modalità di cura dei bisogni vitali della persona malata, e la cui sospensione sia seguita dalla morte in tempi brevi. Indipendentemente dagli orientamenti nei confronti del suicidio medicalmente assistito, sui cui potrebbero anche essere avanzate obiezioni di fondo legate al principio di tutela di ogni vita umana e alla problematicità dell’anticipazione intenzionale della morte – aggiungono i 19 membri del Cnb –, il requisito dei Tsv ha una decisiva rilevanza bioetica, in quanto delimita nettamente l’ambito della non punibilità dell’assistenza al suicidio entro il perimetro di una situazione di prossimità della morte. Ciò esclude possibili derive verso un indebito ampliamento dell’accesso al suicidio assistito, i cui confini di applicazione risulterebbero, altrimenti, inevitabilmente incerti e socialmente discriminatori, poiché potrebbero esporre maggiormente i soggetti vulnerabili ad una inaccettabile pressione, inducendo peraltro una generalizzata apertura nei confronti dei percorsi suicidari».

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