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Esattamente 70 anni fa, l’8 dicembre 1954, l’allora vicegerente della diocesi di Roma, monsignor Luigi Traglia, ordinava nella cappella dell’Almo Collegio Capranica di Roma un gruppo di diaconi, tra cui un 23enne di Sassuolo – provincia di Modena ma diocesi di Reggio Emilia - Camillo Ruini, studente alla Pontificia Università Gregoriana.
Eminenza, qual è un ricordo forte della sua ordinazione sacerdotale e della prima Messa?
Mi ricordo seduto in prima fila nella cappella del collegio Capranica, accanto ai miei sei compagni di ordinazione e con i miei genitori e mia sorella seduti dietro di me. Ero felice di diventare prete: una gioia che per grazia di Dio non mi ha mai abbandonato. La domenica successiva ho celebrato la mia prima Messa nella parrocchia di San Giorgio a Sassuolo: ricordo che avevo imparato a memoria l’omelia e che mi è riuscito di non sbagliare una parola.
Suo padre non aveva preso bene la sua scelta di entrare in seminario: come si comportò di fronte al figlio divenuto sacerdote?
Sia mio padre che mia madre hanno sofferto molto per questa mia scelta. Entrambi però hanno pian piano modificato il loro atteggiamento, che in ogni caso è stato sempre corretto e rispettoso della mia libertà.
Qual è stata una figura sacerdotale che le ha suscitato una speciale ammirazione?
Da ragazzo ho ammirato specialmente don Dino Carretti, che nella parrocchia di San Giorgio si occupava di noi giovani. È stato lui a suggerirmi, con molta discrezione, l’idea di diventare sacerdote. Poi ho ammirato il mio vescovo, monsignor Gilberto Baroni, e soprattutto il Papa san Giovanni Paolo II.
Ci sono indagini recenti che riguardano Stati Uniti, Canada, Spagna, anche la Germania da cui emerge che il profilo dei giovani sacerdoti è molto più “conservatore” rispetto ai sacerdoti delle generazioni precedenti, tra cui la sua. La sorprende?
Non mi sorprende: sono stati troppi i danni provocati da un certo progressismo ecclesiale.
Secondo lei con l’euforia del Concilio ci fu anche un allentamento nel rigore morale di molti sacerdoti – Benedetto XVI accennò a qualcosa del genere – oppure ci fu solo più trasparenza, anche sui loro limiti umani?
Purtroppo molti sacerdoti, tra i quali vari miei compagni ed amici, sono entrati in crisi e hanno lasciato il sacerdozio. Oggi questa crisi è in gran parte superata, ma dobbiamo pregare il Signore perché doni a noi sacerdoti la grazia di camminare con dedizione sulla via che conduce alla santità.
Perché Dio ha voluto che il sacramento dell’ordine, e il potere che ne deriva, potesse essere solo dei maschi?
Propriamente parlando, solo Dio potrebbe rispondere a una simile domanda. Io posso dire che è maschio il sommo ed eterno sacerdote, Gesù Cristo, e che per questa ragione la Chiesa cattolica ha sempre ritenuto che solo degli uomini possano diventare sacerdoti.
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Il clero della sua generazione era così numeroso che si trovavano preti di ogni profilo e specializzazione. Oggi che i preti sono sempre meno, qual è secondo lei l’essenziale da preservare?
L’essenziale è indicato dai “tria munera”, i tre doni-compiti di presiedere alla preghiera, specialmente al culto liturgico, di insegnare la verità cristiana e di governare o presiedere, cioè di guidare la vita della comunità. Come vede, ce n’è abbastanza per un impegno a tempo pieno. Poi, naturalmente, se un sacerdote deve servire varie comunità o un numero molto elevato di fedeli, farà una cernita, all’interno di questi compiti, delle cose più importanti e non delegabili ai laici, anzitutto la presidenza della Santa Messa. Rimane comunque il fatto che i sacerdoti sono essenziali per la vita della Chiesa e che dobbiamo pregare affinché, come diceva monsignor Baroni, il Signore doni alla sua Chiesa molte e sante vocazioni sacerdotali, religiose e missionarie.
Lei per 70 anni è stato strumento del riproporsi di un miracolo: l’Eucaristia. Non le fa effetto?
Sono profondamente grato al Signore per tutte le Sante Messe che ho potuto celebrare. Quanto all’Eucaristia come miracolo, sono dette “miracoli eucaristici” quelle Eucarestie nelle quali avviene visibilmente qualcosa di straordinario, ad esempio la trasformazione del vino in sangue. In una normale Eucaristia ciò non si verifica, si compie però la transustanziazione del pane e del vino nel corpo e nel sangue di Gesù Cristo. Chiaramente questo soltanto Dio può farlo e in tal senso è giusto parlare di miracolo. Dato però che manca l’aspetto della visibilità non si tratta di miracoli nel senso che diamo comunemente a questo termine.
Il sacramento dell’ordine imprime un carattere indelebile nell’anima. I sacerdoti si riconosceranno quindi anche da risorti?
Direi senz’altro di sì, perché nella pienezza di conoscenza che avremo nella vita eterna ci sarà spazio anche per riconoscere chi su questa terra è stato sacerdote.