sabato 14 dicembre 2024
Parla l'arcivescovo latino di Teheran, Dominique Mathieu. «Basta guerre ed embargo. Il mio impegno di dialogo con i musulmani iniziato in carcere a Roma. L'islamofobia, frutto di pregiudizi»
Il neo-cardinale Dominique Mathieu, arcivescovo di Teheran-Ispahan per i latini, durante il Concistoro

Il neo-cardinale Dominique Mathieu, arcivescovo di Teheran-Ispahan per i latini, durante il Concistoro - Agenzia Romano Siciliani

COMMENTA E CONDIVIDI

Tutta la sua vita è nel segno del dialogo con l’islam. E il punto di partenza ha come sfondo l’Italia, anche se Dominique Mathieu è originario del Belgio. «Ricordo ancora il primo incontro con la realtà musulmana: è avvenuto durante un anno di pastorale carceraria nel penitenziario di Regina Coeli a Roma - racconta ad Avvenire -. Un impegno che ha suscitato in me la curiosità e quindi la scelta di studiare l’arabo. Per oltre vent’anni ho anche vissuto in un quartiere maghrebino a Bruxelles-Capitale. Poi ne ho trascorsi sei in Libano, in aree arabe cristiane vicino a cui abitavano sunniti e sciiti». E dopo una nuova parentesi a Roma, «il Signore mi ha inviato in Iran». Come arcivescovo di Teheran-Ispahan per i latini. Era il 2021. Adesso papa Francesco lo ha voluto cardinale: uno dei ventuno nuovi cardinali creati nel Concistoro dello scorso 7 dicembre.

Il neo-cardinale Dominique Mathieu al termine di una celebrazione

Il neo-cardinale Dominique Mathieu al termine di una celebrazione - Facebook

La sua è una porpora con il saio di frate minore conventuale in una terra in tutto e per tutto islamica. Alla scuola di Francesco d’Assisi che 800 anni fa aveva incontrato il sultano d’Egitto per abbracciare quello che la storia considerava il “nemico”. «La promozione dell’amore, della riconciliazione e della pace, anziché del conflitto, richiede prima di tutto una continua conversione personale - spiega il religioso di 61 anni nato ad Arlon -. L’incontro del santo con Malik al-Kamil è un chiaro esempio di come conformare la propria vita a Cristo renda possibile convivere in armonia anche con chi professa una fede differente. Il cardinalato è dunque un ulteriore passo verso la santificazione personale e un dono di sé per la santificazione del popolo di Dio». Da tre anni il suo popolo è una piccolissima minoranza di cattolici nella nazione degli ayatollah. «Sono a servizio di una Chiesa locale che rappresenta una periferia nella Chiesa universale», aggiunge. Non dimenticata, però. Come dimostra la berretta rossa. «Il colore del martirio, il colore appropriato per il Paese», dice durante le visite di calore in Vaticano. Ne sono un esempio i battenti serrati nelle chiese dell’Iran. «I nostri edifici sono principalmente per i cattolici e, in generale, per i cristiani. Ma, pur dovendo tenere le porte chiuse agli altri, rimangono un punto di riferimento, con il potenziale di aprirsi un giorno. Del resto i cristiani fanno parte della società iraniana e sono lievito collettivo».

Due ragazze mentre passeggiano di fronte al murale con la bandiera dell’Iran lungo le strade di Teheran

Due ragazze mentre passeggiano di fronte al murale con la bandiera dell’Iran lungo le strade di Teheran - Ansa

È il Medio Oriente la seconda “casa” di Dominique Mathieu. Una regione che oggi è in fiamme. «Colui che a ogni costo si appropria di ciò che Dio ci ha temporaneamente affidato, agisce come se la terra e le risorse fossero beni esclusivi da dominare - avverte il cardinale -. Tuttavia le cause dei conflitti in Medio Oriente sono molteplici. Le guerre sono alimentate dalla lotta per il controllo delle risorse, dalla proiezione di potere di alcuni Stati e dalle alleanze internazionali che spesso contribuiscono a perpetuare i conflitti».

Eminenza, fra i potenti del mondo prevale un clima bellicista?

«Se il giardiniere pone al centro della sua attenzione lo sterminio delle erbacce anziché la semina di piante utili e la loro cura, il terreno rimarrà incolto e ci saranno poche possibilità di realizzare qualcosa di buono. Vogliamo vendere diserbanti tossici o piante benefiche e fertilizzanti?».

L’Occidente considera l’Iran il «grande nemico», complice anche le sue relazioni privilegiate con la Russia e la Cina.

«Mi sembra un’affermazione troppo generica che non riflette la complessità dell’argomento, richiedendo una riflessione più sfumata. La situazione geopolitica del Paese e le sue relazioni internazionali sono molto più complesse e vanno ben oltre la semplice etichetta di “nemico”».

Eppure il Paese fa i conti con l’embargo. Sanzioni economiche che papa Francesco ha più volte condannato.

«Sono misure che colpiscono in modo sproporzionato le popolazioni civili e non conducono a soluzioni pacifiche. Anzi, aggravano la povertà e la sofferenza delle persone incidendo sulla loro vita quotidiana. La dignità umana e il bene comune devono sempre prevalere».

Il neo-cardinale Dominique Mathieu, arcivescovo di Teheran, riceve la berretta da papa Francesco

Il neo-cardinale Dominique Mathieu, arcivescovo di Teheran, riceve la berretta da papa Francesco - Ansa

Come evitare che la politica usi la religione?

«Vale anche il viceversa, ossia che la religione si fa politica. È nostro compito, come credenti e come esseri umani, difendere una visione della fede che promuova la comprensione reciproca, il rispetto e la giustizia. Serve vigilare affinché la religione non venga strumentalizzata per fini politici che alimentano le fratture e i conflitti. Inoltre è fondamentale investire sull’educazione e sul dialogo interreligioso per abbattere i pregiudizi e costruire una cultura di pace. La responsabilità dei leader religiosi e dei politici è enorme: sono tenuti a lavorare insieme per evitare che la religione diventi uno strumento di divisione e per difendere i diritti umani universali».

Una parte dell’Europa ha paura del “pianeta” musulmano. Crescono i partiti anti-migranti e anti-islamici.

«Si ha paura di ciò che non si conosce. E Cristo ci invita a non avere paura. Pertanto, per prima cosa, è necessario informarsi ricordando che ogni persona, indipendentemente dalla propria religione, merita dignità. Gli abusi sono sempre possibili, come vediamo anche in questi tempi. Le correnti politiche li sfruttano in modo tale che non si fanno più distinzioni tra Hamas e i palestinesi oppure fra Hezbollah e gli sciiti. Quando ero in Libano si sentiva dire che l’Iran sosteneva Hezbollah senza se e senza ma. Ora che sto in Iran, alcuni non capiscono perché le autorità aiutino i libanesi. Si cade facilmente nella trappola di generalizzare e di associare gruppi di persone a ideologie estremiste. L’islamofobia, che è una forma di pregiudizio, discriminazione e ostilità, deve essere affrontata con la conoscenza concreta e reale dell’islam. E va costruita una cultura di rispetto in cui le differenze di fede siano accettate come parte di una ricchezza comune».

“Fratelli tutti”, ripete il Papa. Quali le vie dell’incontro sia con il mondo sunnita sia con quello sciita?

«La comprensione e il riconoscimento reciproco sono opportunità cruciali per le tradizioni religiose e contribuiscono alla pace e alla coesistenza tra le diverse fedi. Tuttavia la vera fraternità si costruisce non solo con dichiarazioni, ma attraverso azioni concrete: collaborazioni in ambito sociale, educativo e di pace sono essenziali per promuovere una convivenza pacifica».

Dal cuore dell’Europa secolarizzata, lei è in un Paese dove la religione permea l’intera società.

«Anche in Iran il clero sciita percepisce il fenomeno della secolarizzazione. La differenza risiede forse nel fatto che in Europa essa è promossa anche dallo Stato, mentre qui, dove mi trovo, si cerca di porvi rimedio. La pluralità delle esperienze di fede ha arricchito il mio modo di guardare al mondo e mi ha fatto apprezzare il fatto che possiamo imparare gli uni dagli altri: non solo su come viviamo la religione, ma anche su come interpretiamo il presente. Questo è il vero stimolo: non esistono risposte semplici, ma una continua sfida ad andare oltre gli stereotipi e a cercare ciò che unisce. Ecco perché vorrei evidenziare l’importanza di un apprendimento reciproco continuo».

La Cattedrale cattolica dei latini a Teheran in Iran

La Cattedrale cattolica dei latini a Teheran in Iran - Wikipedia

Lei è stato nominato arcivescovo di Teheran dopo sei anni di sede vacante.

«Dal 2015 al 2021 l’arcidiocesi di Ispahan dei latini è stata guidata da un amministratore apostolico. L’attuale arcidiocesi, ribattezzata Teheran-Ispahan al momento della mia nomina, è composta da nativi, binazionali e stranieri. I cristiani sono una delle quattro minoranze riconosciute dalla Costituzione della Repubblica islamica. Sono appartenenti a etnie assiro-caldea e armena e poi ci sono, appunto, i latini: comunque godiamo di una libertà di culto regolamentata».

Come ha vissuto l’arrivo della porpora?

«Il cardinalato, al servizio del Pontefice, comprende la dimensione orizzontale tra gli Stati e le sue implicazioni verticali per le Chiese locali».

Ha partecipato all’ultimo Sinodo in Vaticano. Possiamo parlare di “rivoluzione” sinodale nella Chiesa?

«Nel Sinodo è emersa una Chiesa poliedrica che accoglie la diversità di esperienze e di culture come un arricchimento dell’unità della fede. Il Battesimo è il fondamento della nostra appartenenza alla Chiesa e ogni voce, ogni contributo è riconosciuto come parte essenziale della vita ecclesiale. La sinodalità, infatti, non si limita alla partecipazione formale, ma implica un cammino comune di ascolto, dialogo e condivisione della responsabilità. È la visione di Chiesa che non si ferma alle mura, ma si apre al mondo per essere luce di speranza e di fraternità per tutta l’umanità. Una Chiesa sinodale è una Chiesa che non teme le differenze, ma le accoglie come un’opportunità di crescita affrontando con coraggio le urgenze del nostro tempo».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI