sabato 5 ottobre 2024
L’iniziativa di papa Francesco in tutte le chiese del mondo: domenica il Rosario per l’armonia fra i popoli e lunedì la giornata “orante” cui hanno aderito anche le diocesi italiane
Papa Francesco durante la veglia penitenziale che ha preceduto l'apertura del Sinodo dei vescovi

Papa Francesco durante la veglia penitenziale che ha preceduto l'apertura del Sinodo dei vescovi - Reuters

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Ci sarà idealmente tutto il popolo mondiale della pace insieme con il Papa, nella Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma, domenica pomeriggio alle 17, a recitare il Rosario. Iniziativa straordinaria annunciata da Francesco mercoledì scorso nella Messa di apertura del Sinodo. Cui si aggiunge la giornata di lunedì 7 ottobre dedicata al digiuno e alla preghiera (senza particolari eventi), nell’anniversario della inumana strage perpetrata da Hamas ai danni dei cittadini israeliani, tra i quali anche molti bambini.

Tutti gli occhi, dunque, saranno puntati sull’icona dalla Salus Populi Romani nella Basilica liberiana cara al Pontefice, per invocare che cessi il fragore delle armi. A cominciare dagli occhi dei partecipanti al Sinodo, che si uniranno al Vescovo di Roma, raccogliendo così il suo invito a pregare insieme in questo momento così preoccupante. «Per invocare dall'intercessione di Maria Santissima il dono della pace - aveva annunciato papa Bergoglio mercoledì scorso -, domenica prossima (oggi per chi legge, ndr) mi recherò nella Basilica di Santa Maria Maggiore dove reciterò il santo Rosario e rivolgerò alla Vergine un’accorata supplica; se possibile, chiedo anche a voi, membri del Sinodo, di unirvi a me in quell’occasione. E, il giorno dopo, 7 ottobre, chiedo a tutti di vivere una giornata di preghiera e di digiuno per la pace nel mondo». «Fratelli e sorelle - aveva aggiunto nel corso dell'omelia - riprendiamo questo cammino ecclesiale (cioè il Sinodo, ndr) con uno sguardo rivolto al mondo, perché la comunità cristiana è sempre a servizio dell’umanità, per annunciare a tutti la gioia del Vangelo. Ce n’è bisogno, soprattutto in quest’ora drammatica della nostra storia, mentre i venti della guerra e i fuochi della violenza continuano a sconvolgere interi popoli e nazioni».

Monsignor Mounir Khairallah, vescovo di Batrun dei Maroniti (Libano)

Monsignor Mounir Khairallah, vescovo di Batrun dei Maroniti (Libano) - Vatican Media

Il Papa ha ricevuto Raphael Bedros XXI Minassian, patriarca di Cilicia degli Armeni in Libano. Nel frattempo il tema della pace è risuonato più volte nell’Aula Paolo VI in Vaticano dove è in corso l’assemblea sinodale. E ieri se n’è avuta conferma anche nel corso del briefing giornaliero in Sala Stampa. Particolarmente toccante la testimonianza di Mounir Khairallah, vescovo di Batrun dei Maroniti (Libano), cui alcuni uccisero madre e padre quando aveva cinque anni, lasciandolo orfano insieme ad altri tre fratelli e sorelle dai due ai sei anni. Le sue sono state però parole di perdono. Un perdono insegnatogli da una zia religiosa, che accolse in convento i quattro nipotini. «Ci disse: “Non preghiamo tanto per i vostri genitori, sono martiri presso Dio; preghiamo piuttosto per quello che li ha assassinati e cercate di perdonare nel corso della vostra vita. Così sarete i figli del vostro Padre che è nei cieli”». «Noi libanesi - ha aggiunto il vescovo - vogliamo sempre condannare l’odio, la vendetta, la violenza. Vogliamo costruire la pace. Siamo capaci di farlo. La guerra ci è stata imposta, ma il Libano è un “Paese-messaggio”, come diceva sempre san Giovanni Paolo II. Un Paese messaggio di convivialità, di libertà, di democrazia, di vita nel rispetto delle diversità. Anche papa Francesco è convinto di questo». Il Libano «è un messaggio di pace e dovrebbe restare un messaggio di pace - ha proseguito il presule -. È l’unico Paese nel Medio Oriente dove possono vivere insieme cristiani, musulmani, ebrei, nel rispetto delle loro diversità, in una nazione che è una “nazione modello”, come diceva papa Benedetto XVI. Noi libanesi vogliamo sempre condannare l’odio, la vendetta, la violenza. Vogliamo costruire la pace. Siamo capaci di farlo». Quanto alla stretta attualità, il vescovo ha rimarcato: «Purtroppo il mondo tace oppure dà il semaforo verde a tutte queste violenze perché ci sono troppi interessi politici ed economici. Ma nonostante tutto quello che succede - 50 anni di guerra cieca, selvaggia -, noi come popoli di tutte le culture di tutte le confessioni, vogliamo la pace. Lasciamo da parte i nostri politici, i nostri e quelli del mondo, le grandi potenze: loro fanno i loro interessi sulla nostra pelle. Però noi come popoli non vogliamo tutto questo: lo rifiutiamo. Verrà il giorno che avremo l’occasione di dire la nostra parola al mondo intero: basta con questa vendetta, con questo odio, con queste guerre. Lasciateci costruire la pace almeno per i nostri bambini».


La voce del vescovo libanese non è isolata. Anche l’arcivescovo maggiore di Kiev, Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa greco-cattolica ucraina, che è a Roma per il Sinodo e che pregherà con il Papa per la pace, ai media vaticani ricorda: «È già il terzo anno che viviamo nel contesto di questa orribile guerra che il Papa ha chiamato “sacrilega”, e “blasfema”. Oggi, come diceva san Paolo, siamo diventati uno spettacolo per il mondo che guarda la tragedia dell’Ucraina e non sa cosa fare con questa tragedia».


Un appello urgente per la pace da parte di tutto il Sinodo è emerso venerdì pomeriggio. I partecipanti all’assise, come riferito nel briefing, hanno condannato «tutti i fondamentalismi: e la causa principale di tutti i mali», ovvero il commercio di armi. «Ogni volta che parte un missile, qualcuno si arricchisce». Una sottolineatura che spesso ritorna anche nelle parole del Papa.


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