Non sono poi così distanti, l’Appennino e la grande pianura. Nella mattinata di martedì 20 giugno a papa Francesco basteranno poche ore di volo in elicottero per coprire la distanza fra Bozzolo e Barbiana, tra il paese del Mantovano del quale don Primo Mazzolari fu parroco per quasi trent'anni e l’avamposto della diocesi di Firenze dove don Lorenzo Milani svolse il suo apostolato di educatore e sacerdote. La visita del Papa avverrà «in forma privata e non ufficiale», precisa la Sala stampa vaticana, e in fondo non sarebbe potuto essere altrimenti, considerato che né don Mazzolari né don Milani tennero mai in gran conto l’ufficialità. Con le conseguenze e le incomprensioni che conosciamo e che adesso, grazie al pellegrinaggio di Francesco, possono considerarsi finalmente superate e, anzi, addirittura trasformate in riconoscimento di un metodo profetico che, in anticipo rispetto allo stesso Vaticano II, ha indicato alla Chiesa un percorso di accoglienza, di impegno sociale, di adesione alla realtà.
A don Mazzolari una sostanziale riabilitazione era toccata già in vita, anche se ormai alla soglia del congedo, con il celebre saluto rivoltogli da Giovanni XXIII durante l’udienza privata del 5 febbraio 1959: il prete che papa Roncalli volle definire allora «tromba dello Spirito Santo nella Bassa Padana» morì poche settimane più tardi, il 12 aprile, all'età di 69 anni. In quello stesso periodo si faceva un gran parlare del giovane priore di Barbiana. Discendente di un’importante famiglia della borghesia ebraica fiorentina, una volta ordinato sacerdote don Milani si era distinto per una serie di iniziative poco gradite alle gerarchie ecclesiastiche. La destinazione a Barbiana, sui monti del Mugello, aveva le caratteristiche di un provvedimento punitivo neppure troppo mascherato, ma da quell'esilio don Lorenzo riuscì a scatenare una rivoluzione niente affatto silenziosa. I temi erano, non a caso, molto prossimi a quelli cari anche a don Mazzolari. L’attenzione al mondo del lavoro, anzitutto, e di conseguenza la preoccupazione appassionata per la scuola, nella prospettiva di una pedagogia concreta, che superasse ogni distinzione di classe e restituisse al figlio del contadino il medesimo diritto di parola che fino a quel momento era stato destinato al figlio del padrone. Sono le istanze che animano i testi più noti di don Milani, Esperienze pastorali del 1958 e Lettera a una professoressa del 1967, eppure non si fatica a trovarne un’eco nelle opere di don Mazzolari, per esempio in quel manifesto di radicalità evangelica che è Gli ultimi, risalente al 1938.
Una generazione intera separava i due sacerdoti (nato nel 1923, don Milani morì il 26 giugno 1967), una generazione che per il più anziano aveva comportato l’esperienza della trincea durante la Prima guerra mondiale, e poi l’antifascismo militante, la partecipazione alla Resistenza: nella storia del Novecento pochi episodi sono più commoventi e rivelatori dei mesi passati da don Primo nel paradossale nascondiglio del campanile di Bozzolo durante l’occupazione nazista. Nel 1955, con Tu non uccidere, don Mazzolari si era schierato a favore dell’obiezione di coscienza, segnando la strada della nonviolenza cristiana lungo la quale, poco dopo, si sarebbe incamminato lo stesso don Milani con la vicenda di cui danno testimonianza le pagine raccolte nel proverbiale quanto frainteso L’obbedienza non è più una virtù (1965).
La nonviolenza, gli ultimi, il mandato di una Chiesa chiamata a essere «ospedale da campo». La consonanza tra la lezione di questi preti e il magistero di Francesco sarebbe di per sé evidente, ma negli ultimi tempi, quasi ad annunciare il viaggio del giugno prossimo, il Papa non ha perso occasione per ribadirla apertamente. Lo ha fatto nei mesi scorsi, con il breve messaggio autografo che ha accompagnato la pubblicazione di La parola ai poveri, una raccolta di articoli di Mazzolari curata da Leonardo Sapienza per Edb: «Ci farà bene leggere e meditare queste pagine molto attuali di don Primo Mazzolari, sacerdote coraggioso. Lui ci ricorda che i poveri sono la vera ricchezza della Chiesa, i poveri sono l’unica salvezza del mondo!», ha scritto tra l’altro. Parole non dissimili da quelle che Francesco ha voluto affidare domenica al videomessaggio trascritto qui sotto, reso pubblico a Milano nell'ambito della manifestazione Tempo di Libri nel corso della presentazione della nuova e fondamentale edizione di Tutte le opere di don Milani allestita da Alberto Melloni per Mondadori. «La sua inquietudine – ha detto il Papa – non era frutto di ribellione ma di amore e di tenerezza per i suoi ragazzi, per quello che era il suo gregge, per il quale soffriva e combatteva, per donargli la dignità che, talvolta, veniva negata». Una frase che, da sola, consegna al passato ogni pregiudizio negativo e nel contempo spazza via le ingenerose polemiche degli ultimi giorni. È trascorso mezzo secolo dalla morte di don Milani: Barbiana e Bozzolo sono più vicine che mai. E Roma non è lontana.