Ansa
Si è tenuta tra venerdì e domenica la nona assemblea plenaria della Pontificia Commissione per la tutela dei minori. Non mancava certo materiale di attualità, visto come la piaga degli abusi sessuali continua a scuotere Chiese di primo piano in diversi continenti, dall’Australia al Cile agli Stati Uniti.
Sul ruolo e i compiti che di preciso ha questa Commissione istituita da papa Bergoglio nel 2014, non sempre però le idee sono chiare. «A volte le persone mi presentano come il presidente della Commissione sull’abuso sessuale – ha spiegato a Vatican News il presidente dell’organismo vaticano, il cardinale Sean O’Malley – e io li correggo sempre dicendo che no, la nostra competenza riguarda la protezione dei minori: è veramente un compito che concerne la prevenzione. Noi non siamo un organismo che si occupa di casi già successi o di situazioni particolari di abuso. Stiamo cercando di cambiare il futuro, affinché non si ripetano queste tristi storie; e svolgiamo questo compito attraverso l’adozione di raccomandazioni che presentiamo al Santo Padre. Il nostro compito è certamente anche quello di promuovere delle best practices, linee guida che prendano in considerazione la salvaguardia e la prevenzione. Inoltre, realizziamo programmi di educazione e formazione per coloro che sono ai vertici della Chiesa, in modo tale che i nostri vescovi, i sacerdoti e i religiosi siano consapevoli della gravità della questione e abbiano gli strumenti per poter rispondere in modo tale da porre la tutela dei minori e la cura pastorale della vittima come priorità». O’Malley sintetizza il compito con un detto inglese: «Un’oncia di prevenzione vale una libbra di cura».
E le iniziative realizzate in questi anni non sono sembrano poche, anche se spesso non fanno notizia: membri della Commissione hanno preso parte ad oltre 100 conferenze in tutto il mondo, attualmente sono in programma conferenze in Brasile, in collaborazione con la Conferenza episcopale, in Colombia, Messico e Polonia; sono allo studio degli strumenti di verifica da consegnare alle conferenze episcopali, in modo che i vescovi in visita ad limina possano presentare un consuntivo affidabile del loro sforzo in materia di prevenzione degli abusi; così come stanno nascendo “Comitati consultivi dei sopravvissuti”, dove le vittime possono incontrarsi e dare il loro contributo alle Chiese locali.
Ma una delle primarie responsabilità della Pontificia Commissione, ha ricordato O’Malley, resta quella di cercare di ascoltare le vittime. «Siamo sempre ansiosi di ascoltare le testimonianze delle vittime, che danno forma alle nostre deliberazioni e ai nostri giudizi – ha detto il porporato arcivescovo di Boston – questa volta, abbiamo iniziato la nostra riunione ascoltando le testimonianze, prima di tutto, di una donna dell’America Latina che è stata abusata da un sacerdote; poi, della madre di due vittime adulte provenienti dagli Stati Uniti. La voce delle vittime è veramente importante. In questi giorni abbiamo incontrato i nuovi vescovi e come è successo altre volte ho invitato Marie Collins perché loro possano ascoltare la testimonianza diretta di qualcuno che ha avuto l’esperienza di subire questo orrore nella propria vita e possa quindi spiegare loro le conseguenze e le ripercussioni degli abusi sull’individuo, sulla famiglia e su tutta la comunità. Quest’anno Marie Collins non è potuta venire, ma è stata così gentile da mandarci un bellissimo video che abbiamo condiviso con oltre 200 nuovi vescovi. Ogni anno, in occasione di questo incontro, molti vescovi sono venuti a dirmi che la testimonianza di Marie Collins era stata la cosa più importante che avevano ascoltato durante tutta la settimana di conferenze. Quindi, portare la voce delle vittime ai vertici della Chiesa è cruciale per far capire a tutti quanto sia importante per la Chiesa dare delle risposte in maniera rapida e corretta a ogni situazione di abuso in qualsiasi momento si manifesti. In particolare, alla luce della situazione attuale, se la Chiesa si dimostra incapace di rispondere con tutto il cuore e di fare di questo tema una priorità, tutte le nostre altre attività di evangelizzazione, opere di carità e di educazione, ne risentiranno. Questa deve essere la priorità su cui ci dobbiamo concentrare ora».