L'arcivescovo di Napoli, Mimmo Battaglia - Arcidiocesi di Napoli
Centosette migranti a bordo, tra cui ventidue non accompagnati, sono giunti nel porto di Napoli a bordo della nave Sea-Eye 4: a loro si rivolge l’arcivescovo della diocesi partenopea Mimmo Battaglia, nel giorno in cui celebra il suo trentacinquesimo anniversario di sacerdozio. Compie un pellegrinaggio nei luoghi della sofferenza, Battaglia, per chinarsi «sulle ferite dei piccoli, allo stesso modo di come – sottolinea – il Signore si china sulle mie».
Nel raccontare di essersi recato in preghiera dalle suore Sacramentine (la cui chiesa è nei pressi dell’episcopio e dove è sua consuetudine recarsi ogni mattina per la preghiera), l’arcivescovo ringrazia il «Maestro che trasforma il pane in suo corpo, il vino in suo sangue, fino a donarsi senza riserve come cibo, nutrimento, viatico chiedendo a me, a voi fratelli e sorelle, di fare lo stesso con la nostra vita».
Così Battaglia, nel giorno del suo anniversario, si è messo in cammino per arrivare al mare e incontrare «un gruppo di Samaritani, esperti nel cavalcare le onde del Mediterraneo come quelle della sofferenza umana».
«Mi sono accorto – spiega il presule – di non aver interrotto l’adorazione e che il Cristo che mi parlava dall’Eucaristia era lo stesso che, attraverso quei volti, sofferenti che chiedevano giustizia e pace, mi parlava al cuore, chiedendomi ancora una volta: ama e fallo in memoria di me».
Per Battaglia sono questi «i poveri che ci salvano, che ci offrono l’opportunità di amare fino in fondo e gratuitamente, il loro volto ci chiede di “restare umani”, diseppellendo la nostra umanità dai detriti dell’egoismo».
«Ci salvano i 107 fratelli e sorelle – scrive nella lettera a loro indirizzata – che sono arrivati a Napoli con la nave Sea-Eye 4 e noi faremo memoria di Lui lasciandoci salvare e accogliendoli».
L’arcivescovo, che nel pomeriggio di lunedì li ha accolti al Molo 21, ha anche benedetto le salme di due persone che non sono sopravvissute al naufragio, una delle quali era la madre di un bambino di 10 mesi.
Ai bambini, in particolare, si rivolge Battaglia nella lettera e dice: «Quando un bambino in braccio a sua madre mi ha dato la mano nel tentativo di afferrare la mia mi è parso di ascoltare nel cuore la voce del Signore: “non sarai solo, ti darò io stesso una mano attraverso i piccoli e i poveri, gli emarginati e gli esclusi che incontrerai sul tuo cammino”».
E poi dedica un pensiero alla donna che, piangendo, ha baciato la terra, appena scesa dalla nave: «La terra che per lei aveva il sapore della speranza e noi faremo memoria di Lui se la speranza pervaderà davvero e fino in fondo la nostra vita, condividendola con coloro a cui l’indifferenza umana l’ha sottratta».
Nel giorno in cui Battaglia ricorda il sacerdozio, un impegno per la Chiesa diocesana: «Per fare fino in fondo in sua memoria – dice – non ho altra strada che farmi casa accogliente, insieme alla Chiesa napoletana che il Signore mi ha affidato, città ospitale, voce disposta a gridare nel deserto dell’indifferenza il dovere dell’accoglienza, il sacramento dell’ospitalità».
La Sea-Eye 4 nel porto di Napoli. L'arcivescovo Battaglia ha incontrato i 107 migranti salvati e ha benedetto le salme di due che sono morti nel naufragio, un morto era la madre di un bimbo di 10 mesi - Ansa