mercoledì 29 maggio 2024
Nell'anniversario dell'intervento di Francesco a Sibari la Chiesa calabrese rilancia la lotta alla criminalità organizzata. Una storia lungo oltre un secolo, nel 1916 il primo documento ufficiale
Papa Francesco durante la sua vistia a Cassano all'Jonio nel 2014

Papa Francesco durante la sua vistia a Cassano all'Jonio nel 2014 - Ansa

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Dieci anni fa papa Francesco durante la sua visita alla diocesi di Cassano all'Jonio pronunciò parole durissime contro la 'ndrangheta e i suoi affiliati, arrivando a pronunciare la parola “scomunica”. Un decennio dopo la Chiesa calabrese è tornata a fare il punto della situazione nella lotta contro la criminalità organizzata con una giornata di studio a Lamezia Terme.

L’impegno della Chiesa calabrese contro la piaga della ’ndrangheta trova il primo riscontro scritto nella Lettera pastorale collettiva dell’episcopato calabrese per la Quaresima del 1916. In quel documento, viene fatto esplicito riferimento a due realtà di facile contaminazione mafiosa: le processioni e la scelta dei padrini per la celebrazione del Battesimo o della Cresima. In entrambi i casi, i presuli fanno riferimento ad «abusi da eliminare». In riferimento alle processioni, i presuli chiariscono che «non possiamo fare a meno di detestare e di deplorare […] una quantità di abusi inqualificabili che si verificano in non pochi luoghi della nostra Calabria e che rendono le processioni non solo profane, ma, lasciatecelo dire francamente, scandalose e ridicole». I vescovi, poi, decidono di dettagliare questi abusi facendone un nutrito elenco, nel quale troviamo un esplicito riferimento alla pratica degli “inchini”, recentemente balzata agli onori della cronaca: «Come infatti chiamare ancora religiose certe processioni che si protraggono per mezze giornate e nelle quali, come se il santo fosse un burattino, lo si fa girare per tutti i vicoli e i viottoli del paese, facendolo sostare, qui davanti la casa del procuratore A o dell’offerente B». Al termine del documento, poco prima delle conclusioni, viene riportata una deliberazione sui padrini: «I curati insegnino di proposito al popolo che non possono far da padrini del Battesimo e della Confermazione i notoriamente scandalosi e irreligiosi, e, per nessun motivo permettano che questi si presentino al vescovo per compiere tale ufficio». Deliberazione necessaria, perché «oggi specialmente, non sono rari i casi in cui le famiglie scelgono a padrini dei loro figli persone tutt’altro che degni e capaci di compiere a quest’ufficio». Questo avviene perché vi è «la mania di contrarre la cognazione spirituale colla tale o tale famiglia; mania che fa chiudere gli occhi sulle qualità morali e religiose che si richiedono in un padrino». I vescovi avevano ben chiare alcune dinamiche di affiliazione e di “intese” tra cosche, dinamiche rispetto alle quali lo Stato si esprimerà alla fine della seconda parte del XX secolo.

Il cammino di contrasto all’illegalità da parte della Conferenza episcopale calabra (Cec), assume una forma ancora più strutturata con la Lettera pastorale del 1948 dei vescovi meridionali, che trovò poi riverbero nella Lettera dei vescovi calabresi del 1975 intitolata Episcopato calabro contro la mafia, disonorante piaga della società. Nel 2007, la Cec consegna un altro documento miliare nel contrasto alla mentalità mafiosa: Se non vi convertirete perirete tutti allo stesso modo. Nel 2014, poi, la viene pubblicata una nota pastorale Testimoniare la verità del Vangelo, cui seguono immediatamente gli Orientamenti pastorali Per una nuova evangelizzazione della pietà popolare del 2015. Il culmine del contrasto alla mafia e di purificazione delle coscienze, trova piena espressione nel 2021 col documento No ad ogni forma di mafie! Linee guida per un sentire e agire comuni del clero, dei consacrati e dei fedeli laici delle diocesi di Calabria.


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