Fidenza: un incontro sinodale con un gruppo di ragazzi della diocesi emiliana - .
«Una Chiesa sinodale? È un bene per l’intera società», scandisce don Giorgio Nacci, docente di teologia morale presso la Facoltà Teologica Pugliese. «Una Chiesa autenticamente sinodale, nella quale si vive lo stile della corresponsabilità, è necessaria alla missione di annunciare il Vangelo nel contesto culturale odierno. Ma è anche un fecondo segno di contraddizione rispetto all’individualismo e ai particolarismi sociali, culturali e politici del nostro tempo, e rispetto alla sempre più diffusa deresponsabilizzazione riguardo alla cura del bene comune – riprende il sacerdote dell’arcidiocesi di Brindisi-Ostuni –. Una Chiesa sempre più sinodale, Chiesa del discernimento comunitario, aperta e inclusiva, è per la società d’oggi un fermento e un modello positivo di partecipazione attiva alla costruzione del bene comune». Don Nacci fa parte della Presidenza del Comitato nazionale del Cammino sinodale. Con lui Avvenire fa il punto su uno dei temi proposti alle diocesi per il discernimento della fase sapienziale: la sinodalità e la corresponsabilità. «Il tema forse più ad intra. Ma solo in apparenza», sottolinea.
Don Giorgio Nacci, docente di Teologia morale presso la Facoltà Teologica Pugliese - .
Alcune questioni cruciali. «Con questo tema tocchiamo il punto centrale del Cammino sinodale – rirpende don Nacci –. Se sinodalità è il nome della Chiesa, ci ricorda papa Francesco attingendo alla tradizione, corresponsabilità dice la forma che la vita della Chiesa deve assumere oggi, in relazione alla sua missione, l’annuncio del Vangelo. Il Cammino sinodale ha fatto emergere alcune questioni cruciali, al centro dei lavori della commissione “Sinodalità e corresponsabilità”, come: il rapporto fra corresponsabilità e ministerialità, nell’ottica della partecipazione di tutti i battezzati alla vita della Chiesa; gli organismi di partecipazione ecclesiale e i processi di discernimento comunitario; il riconoscimento e la valorizzazione del ruolo delle donne e del loro apporto nella corresponsabilità ecclesiale». Sulla prima questione: «È tornata l’espressione “Chiesa tutta ministeriale”. Questo non significa che tutti debbano assumere un ministero in senso proprio, ma che tutti i battezzati possano mettere i carismi ricevuti dallo Spirito al servizio della missione. Promuovere la corresponsabilità significa risvegliare questa consapevolezza: la responsabilità di ciascuno all’unica missione. Nella Chiesa, certo, ci sono i singoli ministeri ordinati e il ministero dei laici, con la loro funzione. Ma la ministerialità non si risolve in un ruolo o servizio particolari».
Tempo di creatività. «Nella storia della Chiesa, sono sempre sorte nuove ministerialità per la missione – spiega il teologo –. E questo è necessario anche oggi, e su questo la Chiesa riflette. Ministerialità per la missione è ministerialità che raggiunge le periferie esistenziali, culturali, spirituali, per farsi carico di coloro che sono sulla soglia della vita ecclesiale e rendere tutti protagonisti». Si tratta, dunque, di «promuovere i ministeri istituiti – lettorato, accolitato, catechista – ma anche di sviluppare una nuova creatività ministeriale».
Vie di partecipazione. Altro tema decisivo è promuovere organismi di partecipazione, parrocchiali e diocesani, sempre più a servizio della corresponsabilità. «La Chiesa sinodale, aperta a tutti, inclusiva, sa fare tesoro dell’apporto di ciascuno. In questo, il ruolo degli organismi di partecipazione è fondamentale. E una riflessione che si sta portando avanti – testimonia don Nacci – è sulle modalità con cui avviene il discernimento comunitario, perché sia processo che permette a tutti di partecipare alla vita della Chiesa in ascolto dello Spirito». È inoltre importante «favorire una maggiore comunicazione e trasparenza nelle scelte pastorali ed economiche, perché tutti possano partecipare non solo ai processi decisionali, ma alla loro attuazione e verifica».
Il ruolo delle donne. «È necessario permettere alle donne di essere presenti dove effettivamente la comunità cristiana prende le sue decisioni, riconoscendo il loro ruolo, le competenze, la leadership che possono esercitare. Si pensi a quello che già oggi accade nelle associazioni laicali, nei movimenti, nella vita religiosa – annota il sacerdote –. Ci sono altri livelli della vita ecclesiale nei quali riconoscere alle donne ruoli di responsabilità e di guida: si pensi agli organismi di partecipazione, o agli uffici pastorali. O all’insegnamento nelle facoltà teologiche, dove le donne oggi sono presenza minoritaria».
Le resistenze alla sinodalità. «Ci sono resistenze legate all’influenza del contesto culturale odierno come il forte individualismo, lo scarso senso di appartenenza, la mancata educazione a partecipare alla costruzione di decisioni per il bene comune. Ma ci sono anche resistenze legate alla vita stessa della Chiesa – afferma il teologo – come la sopravvivenza del clericalismo, che porta all’irrigidimento da parte di chi guida la comunità, o una inadeguata formazione del laicato, o una visione esclusivamente sacralizzata e gerarchizzata del ministero ordinato. Resistenze che dobbiamo riconoscere con lucidità, per poterle superare e costruire la Chiesa secondo il modello del Concilio Vaticano II. Ne va dell’efficacia stessa della missione evangelizzatrice».