Secondo la prospettiva allargata della realtà familiare che, prima o poi, nel fluire lento e inesorabile delle generazioni, interseca una dopo l’altra le sfaccettature infinite del caleidoscopio della vita. Eppure, leggendo le cronache di questi giorni su Sinodo e dintorni, sembra passare un solo messaggio e un solo interrogativo: sì o no la comunione ai divorziati risposati? Problema importante, senz’altro. Ma non centrale del grande dibattito sulla famiglia e neppure risolutivo della diaspora in corso nei confronti del matrimonio e di ogni altra relazione impegnativa. «Sarebbe gravemente fuorviante – ha sottolineato lo scorso 22 settembre il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, nella prolusione che ha aperto il Consiglio permanente dell’episcopato italiano – ridurre i lavori del Sinodo, come sembra essere indotto dalla pubblica opinione, alla prassi sacramentale dei divorziati risposati». Sulla stessa linea si erano già più volte pronunciati, tra gli altri, il cardinale Lorenzo Baldisseri, segretario del Sinodo, e l’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio consiglio per la famiglia.
Infatti, nell’Istrumentum laboris, frutto delle risposte al questionario arrivate dai cinque continenti, si spiega che le richieste di riammissione al sacramento dell’Eucaristia da parte di divorziati risposati, riguardano una percentuale minima di persone. Potremmo quasi definirla una "élite spirituale" che cerca nella Chiesa accoglienza e conforto dopo la sofferenza patita per la disgregazione della propria famiglia. Ma per coloro che hanno piena consapevolezza del valore del sacramento ricevuto e decidono di vivere la nuova condizione di separati rimanendo fedeli nonostante tutto al vincolo matrimoniale – o comunque non avviando una nuova unione – il problema della comunione non si pone. La scelta di queste persone, si legge ancora nel documento preparatorio – secondo l’opinione di numerose risposte giunte a Roma – «costituisce una grande testimonianza cristiana».
Tra coloro che chiedono la riammissione ai sacramenti ci sono poi persone non pienamente consapevoli della propria situazione irregolare e che accusano la Chiesa di insensibilità e di lontananza. In queste situazioni – fa notare l’Instrumentum – «si segnala il rischio di una mentalità rivendicativa nei confronti dei sacramenti». Ora, fermo restando l’impegno e la volontà di esercitare «una più ampia misericordia, clemenza e indulgenza» nei confronti di tutte le persone che vivono situazioni di sofferenza per quanto riguarda i fallimenti matrimoniali – su questo punto i numerosi interventi di Papa Francesco non lasciano spazio al dubbio –, l’Instrumentum laboris segnala come il problema autentico, quello su cui concentrare davvero gli sforzi di riflessione e di analisi, sta a monte. E viene spiegato in modo esplicito, senza inutili edulcoramenti e senza vani giri di parole al n.15 del documento: «La stragrande maggioranza delle risposte mette in risalto il crescente contrasto tra i valori proposti dalla Chiesa su matrimonio e famiglia e la situazione sociale e culturale diversificata in tutto il Pianeta».
Ecco la domanda drammatica, l’interrogativo lacerante che sta alla base di tutte le altre questioni. Come riformulare in modo efficace il messaggio cristiano su amore, matrimonio e famiglia? Come farlo apparire giusto e opportuno, occasione di benessere e di futuro per sé e per le persone che ci stanno vicine, nei confronti di una mentalità dominante impastata di individualismo e di relativismo? Come contrastare «una cultura che rifiuta scelte definitive, condizionata dalla precarietà, dalla provvisorietà, propria di una "società liquida" dell’"usa e getta", del "tutto e subito"?». Sono questioni radicali di cui le diverse Chiese locali, come emerge dal documento preparatorio, sono del tutto consapevoli e che non vogliono eludere. C’è alla base una domanda di senso, radicale e impegnativa, a cui bisogna fornire risposte rapide e soddisfacenti. Non a caso, le ultime statistiche danno in forte calo non solo i matrimoni – e questo purtroppo era noto – ma anche le convivenze. Come se i giovani facessero sempre più fatica ad accettare non solo il "per sempre" ma anche il suo specchio a tempo determinato.
Un disorientamento progressivo che paralizza la capacità di assumere decisioni importanti e che lascia nel cuore una lontana ma – fa notare l’Instrumentum laboris – ancora ben salda nostalgia di famiglia. Un sentimento ricorrente in ogni parte del mondo che potremmo riassumere in questo modo: «Sappiamo che la strada è quella, ma abbiamo smarrito le parole per dirlo, i gesti per confermarlo, le buone abitudini per aiutarci nella scelta». Ecco il cuore dei problemi a cui il Sinodo – quello straordinario e poi quello ordinario del 2015 – sarà chiamato a dare risposte adeguate. Se non si affronta questo ingorgo culturale, questa confusione che sta alla base di tante "non scelte", difficile pensare che anche il più acuto strumento canonico – c’è chi guarda alla prassi ortodossa del percorso penitenziale in vista del secondo matrimonio – possa risolvere il male oscuro che sta alla radice e che oggi ha reso la proposta cristiana sulla famiglia scarsamente affascinante agli occhi di troppi giovani abbagliati dai miti fasulli del sesso facile, del genere variabile, delle relazioni elastiche. Ecco perché pensare di ridurre la sfida globale che sta di fronte alla famiglia a una gara di fioretto tra tradizionalisti e progressisti, secondo schemi semplicistici e banali, significa non aver compreso la portata straordinaria e universale connessa ai temi del Sinodo.