La cappella di San Bruno nella Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri a Roma
La musica ha lodato, esaltato e celebrato nei secoli la «divina fanciulla, cattedrale del silenzio», si direbbe prendendo a prestito i versi di padre David Maria Turoldo. È la Madre di Dio contemplata anche attraverso il linguaggio universale delle note. Che ha raccontato persino la sua assunzione al cielo. Le parole dell’antifona dei Vespri della solennità di oggi, Assumpta est Maria in coelum, gaudent angeli, hanno ispirato composizioni per lo più da riscoprire. A cominciare da quelle di Giovanni Pierluigi da Palestrina (1525-1594). Il “princeps musicae” scrive il mottetto che accoglie l’antifona mariana e che rappresenta un «vertice assoluto per fervore e capacità di commozione», spiega monsignor Vincenzo De Gregorio, preside del Pontificio Istituto di musica sacra. Un mottetto da cui poi prenderà spunto per ricavare alla fine del Cinquecento la Missa Assumpta est Maria, una delle ventidue Messe a sei voci scritte dal maestro. Con le sue sonorità brillanti, è una perla che ha fatto breccia anche nelle chiese della Riforma.
Risale a un secolo dopo la morte di Palestrina un altro capolavoro in onore della Vergine “d’agosto”. È la Missa Assumpta est Maria del francese Marc-Antoine Charpentier (1634-1704), interessante compositore mariano conosciuto ai più per il preludio del Te Deum che è la “sigla dell’Eurovisione”. La sua Messa è pervasa di una dolcezza densa, malinconica eppure ricca di calore. È una partitura di paradossi, come summa paradossale è la Vergine che ha suscitato musica “alta” e musica popolare: dal Gregoriano ai nostri giorni. «Intorno alla Madonna – afferma De Gregorio – è stata ricamata una straordinaria storia artistica che ha incluso anche la musica. Se vogliamo indicare un riferimento dobbiamo risalire al 431 quando nel Concilio di Efeso viene sancito il dogma della maternità divina di Maria che così può essere chiamata Madre di Dio». Si dovrà attendere invece il 1950 per arrivare al dogma dell’Assunta proclamato da Pio XII. «Tuttavia – fa sapere lo studioso – già dal Cinquecento l’assunzione della Vergine irrompe nell’iconografia e quindi nella musica».
Testo mariano per eccellenza è l’Ave Maria, «compendio della nostra fede che porta a Cristo e che insiste sul mistero dell’Incarnazione, del Dio fatto uomo», chiarisce il preside. Da Palestrina all’austriaco Anton Bruckner (1824-1896), la nota preghiera è entrata negli spartiti. Con casi anche curiosi. «Pensiamo alle celebri melodie di Franz Schubert (1797-1828) e di Charles Gounod (1818-1893). Entrambe non sono nate come musica sacra. Sono composizioni a se stanti su cui sono state applicate le parole dell’Ave Maria. Ciò dimostra come l’intuito popolare trascenda parruccamenti o accademismi. Va aggiunto che l’Ave Maria, non essendo un testo prettamente liturgico, è stata tradotta presto nella lingua corrente. E ciò l’ha resa particolarmente attrattiva».
Fra le versioni dell'Ave Maria da tornare ad ascoltare (e magari a cantare) ci sono quelle di Saverio Mercadante (1795-1870) o di Lorenzo Perosi (1872-1956). «Particolarmente amata nel Mezzogiorno è l’Ave Maria del napoletano Raffaele Cimmaruta, anche in questo caso frutto dell’innesto del testo religioso su una melodia preesistente».
Lo stesso è accaduto con l’altrettanto rinomata Ave Maria di Pietro Mascagni (1863-1945), la cui partitura è quella dell’intermezzo di Cavalleria rusticana. E l’invocazione che inizia con il saluto dell’Angelo ha varcato anche i confini dell’opera lirica. Giacomo Puccini (1858-1924) l’ha inserita in Suor Angelica; Giuseppe Verdi (1813-1901) in Otello.
«E del genio di Busseto possiamo ricordare anche la preghiera corale della Vergine degli Angeli nella Forza del destino – sottolinea De Gregorio –. Questo testimonia la forza attrattiva della Madonna: anche i grandi autori, magari scettici o non segnati da una particolare sensibilità religiosa, sono rimasti colpiti da Maria, icona suprema della donna che racchiude in sé le dimensioni della femminilità e della maternità».
Altra sorgente di musica sulla Vergine è rappresentata dalle antifone mariane. Definizione non precisa che racchiude il Salve Regina, il Regina Caeli, l’Alma Redemptoris Mater o l’Ave Regina Caelorum. «Esse si collocano all’interno della Liturgia delle Ore, a conclusione dei Vespri o della Compieta. E sono state messe in musica da grandi autori». Hanno firmato il Salve Regina ad esempio Alessandro Scarlatti (1660-1725), Antonio Vivaldi (1678-1741), Georg Friedrich Haendel (1685-1759) o Giovanni Battista Pergolesi (1710-1736).
A Palestrina si deve una struggente Alma Redemptoris Mater, mentre il Regina Coeli annovera numerose varianti polifoniche. È di Johann Michael Haydn (1737-1806) una toccante Ave Regina Coelorum; ed è stata scritta da Carlo Gesualdo (1566-1613) una versione per l’Assunzione.
Cantico mariano che segna la Liturgia delle Ore – proprio dei Vespri – è il Magnificat. Eccolo sulle note di Palestrina o di Claudio Monteverdi (1567-1643), di Francesco Durante (1684-1755) o di Vivaldi. Ma anche del protestante Johann Sebastian Bach (1685-1750). «Con la Riforma luterana – chiarisce l’esperto –, anche se viene meno l’intensità del rito eucaristico, non si intacca l’assetto della preghiera quotidiana. I Vespri restano. E il Magnificat, essendo testo biblico, riscuote grande attenzione».
Così una sua traduzione tedesca del Magnificat (Mein Herz erhebet Gott den Herrn) è messa in musica dal riformato Felix Mendelssohn (1809-1847).
C’è poi lo Stabat Mater che la tradizione vuole sia attribuito a Jacopone da Todi. «Al centro si colloca la tragicità della morte di un figlio che si rispecchia nella sofferenza di Cristo vista con gli occhi del credente che guarda a Maria», riferisce lo studioso. Sono oltre quattrocento i musicisti che si sono accostati a questa sequenza. «Lo Stabat Mater di Gioachino Rossini (1792-1868) è un capolavoro, non assolutamente secondo al giustamente insigne Stabat Mater di Pergolesi», dice il preside.
Fra i contemporanei c’è l’estone Arvo Pärt, autore di uno Stabat Mater premiato nel 2008 e anche di un Magnificat in stile tintinnabuli, a metà fra monodia e polifonia.
La musica mariana è segnata anche dalle Litanie lauretane. Oltre a Monteverdi e a Palestrina, si devono a Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791) le “celestiali” Litaniae de Beata Maria Virgine Lauretanae.
Ma le composizioni in onore della Regina del cielo non sono solo quelle d’autore. Hanno anche un’impronta legata alla devozione popolare. «E hanno come apripista il Laudario di Cortona, ossia quel codice musicale manoscritto del XIII secolo che rilegge la vita di Gesù alla luce di Maria e da cui è fiorita una ricchissima epopea di canti mariani che ancora oggi arricchiscono il tessuto ecclesiale». L’attuale repertorio che esprime la venerazione per la Madonna include brani come Mira il tuo popolo o Nome dolcissimo che «sono autentiche gemme, a partire dal testo», avverte De Gregorio.
E aggiunge lo studioso: «Fra i tanti autori rimasti nell’ombra mi piace citare un modestissimo prete dell’attuale arcidiocesi di Sorrento-Castellammare di Stabia, don Luigi Guida, che ha creato un canto divenuto famoso nel mondo: Dell’aurora tu sorgi più bella. Aveva studiato al Conservatorio di Napoli e ha dedicato la vita alla musica. Così è giusto che sia sepolto nella ex Cattedrale di Vico Equense affacciata sul golfo di Napoli. E la luce mattutina che si riflette nel mare ha probabilmente ispirato a don Guida le parole del brano».