Seminare «la cultura del lavoro» e far comprendere che «la società non può non vivere di solidarietà». Alla luce della profonda crisi economica e sociale che attanaglia il Sud e la Sicilia, sfociata anche in episodi di disperazione suicida e omicida, Salvatore Lupo, ordinario di Storia contemporanea all’Università di Palermo, offre una lettura delle attuali condizioni dell’isola.
Disoccupazione a livelli drammatici, precarietà, povertà crescente e mancanza di sviluppo. Come vede la Sicilia alla luce di questi dati oggettivi?La Sicilia ha gli stessi problemi dell’Italia al livello qualitativo, ma in misura maggiore sotto l’aspetto quantitativo. C’è un problema di crisi congiunturale che si innesta in una crisi di carattere strutturale della nostra regione. A questo si aggiunge il pessimo uso che è stato fatto dell’autonomia regionale. La Sicilia è la prova vivente delle false speranze che il Paese ha nutrito nei confronti del regionalismo e del federalismo come panacea di tutti i mali. La moltiplicazione di spazi periferici aggiunge problemi a problemi, con la moltiplicazione di spese faraoniche. Il nostro è un esempio negativo di un decentramento senza la responsabilizzazione delle classi dirigenti locali.
Ma si sta facendo qualcosa per venirne fuori?L’idea di diminuire l’enorme rubinetto di spreco è presente nelle Istituzioni, il problema è se si possa riformare veramente un sistema o se alla fine sotto il vestito non c’è niente. La Regione dovrebbe cedere parte delle sue competenze alle amministrazioni locali per creare un vero circuito di rinnovamento.
Recenti casi di cronaca, come quello dell’uomo che si è dato fuoco perché gli hanno venduto la casa all’asta per un debito di 10mila euro, danno un’idea della drammatica situazione sociale. Cosa fare?Ci viene detto che l’assistenza pubblica è assistenzialismo, ha una connotazione negativa. Ma la società non può non vivere di solidarietà. Davanti a una crisi si devono attivare meccanismi di protezione sociale. Non si può lasciare che le persone cadano nella disperazione, devono essere protette. Le risorse per farlo ci sarebbero, ma è importante che passi l’idea che questo è fondamentale.
Lei ha parlato di sprechi in una regione in cui le ultime generazione vivono di lavori precari legati alla pubblica amministrazione, spesso in carrozzoni mangiasoldi. Quale strada bisogna percorrere?Occorre riqualificare la spesa pubblica. La Sicilia è una terra di duro lavoro, nel passato di emigrazione, perché negli ultimi trent’anni il sistema politico ha disabituato la gente al fatto che i redditi dipendono dal lavoro. Non vedo con sfavore la ripresa di flussi migratori, perché danno la possibilità di contatto coi flussi del mondo, si crea un effetto di rimbalzo. Bisogna capire che bisogna vivere di lavoro.
In quali settori investire?Certamente turismo, filiere commerciali e agricole, cultura. Senza inventarsi cose impossibili. Bisogna seguire le vocazioni naturali, tenendo conto che ci sono molte risorse umane.
Qual è il ruolo della Chiesa nella società siciliana?Il cattolicesimo dà un contributo alla tenuta della società civile, questo è evidente, ma non può essere sostitutivo delle carenze delle altre strutture. Gli appelli della Chiesa contro l’immobilismo della pubblica amministrazione ci sono stati, ma non bastano.