sabato 23 novembre 2024
L'arcivescovo interviene sulla recente lettera del Papa dedicata al rinnovamento degli studi storici ecclesiali: la filosofia della storia concepita ideologicamente si rivela un pensiero senza futuro
La Biblioteca Apostolica Vaticana

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La Lettera del Santo Padre Francesco sul rinnovamento dello studio della storia della Chiesa, pubblicata il 21 novembre 2024, si presta a svariate possibilità di lettura, proprio per la ricchezza di approcci che l’interpretazione della storia offre al pensiero. Quello che qui privilegio è un taglio strettamente teologico: mi chiedo cioè che cosa questo intervento del Vescovo di Roma dice all’uso che la teologia fa della storia e a quello che la ricerca storica può fare di una prospettiva teologica fondata sulla rivelazione biblica e la sua trasmissione nel tempo da parte della Chiesa. Non esiterei a rispondere che il “no” deciso dell’intervento del Santo Padre è a un uso ideologico della lettura della storia, tanto in senso polemico, quanto in chiave apologetica: «Una corretta sensibilità storica aiuta ciascuno di noi ad avere un senso delle proporzioni, un senso di misura e una capacità di comprensione della realtà senza pericolose e disincarnate astrazioni, per come essa è e non per come la si immagina o si vorrebbe che fosse. Si riesce così ad intessere un rapporto con la realtà che convoca alla responsabilità etica, alla condivisione, alla solidarietà». In effetti, il fascino e il limite delle moderne concezioni del progresso storico sono consistiti nella presunzione di offrire una spiegazione totale del mondo e del suo divenire temporale: prodotto della ragione moderna, la filosofia della storia ne ha assunto le pretese totalizzanti e ne ha registrato la parabola di fronte all’incompiutezza palese delle realizzazioni storiche. Quando la violenza esercitata sul reale dall’ideologia si è scontrata con la resistenza del reale stesso, è risultato evidente che non basta cambiare il mondo e la vita nel pensiero per poi cambiarli effettivamente nella concreta complessità che li caratterizza. La “dialettica dell’Illuminismo” – proposta da Max Horkheimer e Theodor Adorno subito dopo la tragedia della seconda guerra mondiale (1947: in italiano Einaudi, Torino 1966) – consiste precisamente nella denuncia critica dei limiti della ragione emancipata e dei suoi progetti totalizzanti sulla storia. Il mondo “programmato”, che l’ideologia configura, resta un prodotto delle possibilità presenti, dedotto da ciò che è disponibile e calcolabile: ciò che ad esso manca veramente è il “nuovo”, l’avvenire in quanto indeducibile e non programmabile, il futuro nella sua dimensione pura. La filosofia della storia, concepita in maniera ideologica, si rivela un pensiero senza futuro, incapace non solo di dar ragione dell’interruzione e della morte, ma anche di aprirsi alle sorprese che l’eccedenza della realtà rispetto al pensiero riserva.

È dalla parabola di ascesa e di declino delle letture totalizzanti del divenire storico, operate dall’ideologia nelle sue diverse forme, che emerge la sfida che la “teologia della storia” lancia alla “filosofia della storia”: a differenza di questa essa è chiamata a rimanere costitutivamente aperta, costruita non a partire dall’uomo e dalla sua ragione più o meno presuntuosa e totale, ma a partire dal divino Altro, che ha visitato la storia e col Suo avvento ne ha mostrato al tempo stesso la finitezza e l’infinita dignità. Il fondamento irrinunciabile di ogni autentica teologia della storia è e non può non essere la rivelazione: è grazie ad essa che la visione teologica della storia resta pensiero aperto, pervaso dallo stupore e dall’adorazione di fronte al nuovo venuto nel tempo. Sta qui la permanente verità della teologia della storia di Agostino: ciò che qualifica il divenire storico è il modo in cui esso è rapportato all’Eterno, rivelatosi in Gesù Cristo. È Cristo l’escatologica pienezza dei tempi, il luogo puro dell’Avvento, l’unica vera novità sotto il sole della storia, e perciò la norma e la misura ultima su cui si confronta tutto ciò che è penultimo: è Lui il Signore dell’esistenza personale e collettiva dell’umanità. La teologia della storia, nella visione di Agostino, è in senso forte teologia della storia della salvezza: l’irruzione dell’“éschaton” nel tempo degli uomini, l’offerta gratuita e liberante della Grazia, che è donata nel Signore Gesù, è l’oggettiva pienezza, il decisivo compimento, rispetto al quale devono porsi la soggettiva apertura del cuore, la decisione salvifica, la conversione che cambia la vita. Non è dunque il semplice progresso lineare verso il futuro ciò che caratterizza la teologia cristiana della storia: questo progresso potrebbe restare unicamente quantitativo e cadere nelle chiusure delle ideologie mondane. La crisi delle visioni totalizzanti della storia trova perciò nella concezione cristiana della salvezza un possibile sbocco redentivo: al senso che l’uomo si dà con la sua progettualità essa sostituisce il senso che Dio dà alla storia col Suo disegno salvifico. La caduta delle presunzioni ideologiche è riscattata dalla speranza fondata nella fede: la presa d’atto del proprio limite diviene per la creatura lo spazio aperto per il riconoscimento della Trascendenza, che sostiene e regge la storia, e, entrando in essa con la rivelazione, ne rende possibile una qualificazione salvifica mediante la decisione di fede. Le conseguenze di tutto questo sulla concezione e l’esercizio della libertà del soggetto storico sono rilevanti e facilmente intuibili: ne va di mezzo la libera scelta dell’essere umano di fronte all’offerta del Creatore, e ne viene evidenziato il rischio d’amore che il Dio vivente ha accettato di correre, creando la Sua creatura libera nel voler realizzare o meno con Lui un patto di alleanza, che sia frutto di autentico amore.

Arcivescovo di Chieti-Vasto



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