C’è una presenza in più nella visita ad limina dei vescovi di Sicilia, che inizia domani. È il volto ormai glorioso, dopo il martirio, di don Pino Puglisi, il sacerdote ucciso dalla mafia, che sarà beatificato il 25 maggio e che idealmente accompagna i presuli dell’Isola in questo importante momento della vita ecclesiale. «La nostra gioia di poter incontrare il Papa – conferma il cardinale Paolo Romeo, arcivescovo di Palermo e presidente della Conferenza episcopale di Sicilia – è ancora più piena perché la visita avviene in pratica alla vigilia della beatificazione di Puglisi. Per noi è un grande dono che la Chiesa lo abbia riconosciuto martire <+corsivo>in odium fidei.
Che significato ha questa beatificazione per la Chiesa di Sicilia e per i siciliani?Far seguire l’impegno alla gioia. Adesso don Pino è un modello da seguire. E allora ecco la riscoperta di un ministero sacerdotale appassionato, che per tanti anni ha saputo coniugare evangelizzazione e promozione umana. Quindi, anche alla luce della sua testimonianza, ci siamo preparati alla visita
ad limina ben coscienti di tutte le problematiche che vive la nostra Isola. Problematiche di tipo socio-economico, legate alla crisi e alla perdita di posti, ma anche al fenomeno degli sbarchi degli immigrati. Desideriamo presentare tutto questo al Papa, sperando di essere confermati da lui (e anche corretti, se necessario) nel nostro impegno a servizio della Chiesa e del bene comune.
Il martirio di Padre Puglisi richiama l’educazione delle coscienze. Questa azione è diventata patrimonio diffuso?Credo di sì. Ma il discorso va affrontato a più largo raggio, perché dietro la mafia vera e propria c’è una cultura mafiosa, che non rispetta l’uomo, che spinge alla sopraffazione e che mira solo al denaro. Questa cultura va assolutamente estirpata. Quindi, se molto è stato fatto per dire no alla mafia, specie quando attaccava direttamente lo Stato (e a Palermo abbiamo il triste primato che tutte le espressioni dello Stato sono state colpite), oggi non bisogna abbassare la guardia perché la mafia ha preso un altro volto e quindi va combattuta a tutti i livelli: i genitori formando i figli, gli educatori a scuola, le forze dell’ordine, la magistratura, la società civile. Ho detto recentemente al presidente della Regione: «Se lei vuole davvero combattere la mafia, deve far funzionare gli uffici regionali». Anche le sacche di inefficienza aiutano la mafia.
La Chiesa come si pone in questo contesto?La Chiesa deve essere in prima linea. E qui si capisce la grandezza del martirio di don Puglisi, che è stato ucciso perché era un prete che formava le coscienze, costruiva la comunità parrocchiale e aiutava le persone a uscire dai meccanismi che le rendono schiavi. Questo evidentemente dava fastidio. Perciò penso che la sua beatificazione ci aiuterà a prendere coscienza del vero cambiamento da attuare. La gente pensa infatti che devono cambiare gli altri. E invece don Puglisi ci dice che ognuno di noi ha qualcosa da cambiare nel proprio cuore, nel proprio pensare, nel proprio agire. Solo così la civiltà dell’amore potrà affermarsi.
Quali sono dunque le priorità pastorali delle Chiese di Sicilia?Stiamo cercando di muoverci su tre direzioni: i giovani, la famiglia, il territorio. Giovani significa trasmissione della fede e non sempre gli adulti ci riescono. Ma anziché lamentarsi che i giovani sono meno presenti, cerchiamo di essere autentici testimoni del Vangelo e dei suoi valori: la stabilità della famiglia, il rispetto della vita, l’impegno di solidarietà e di servizio agli altri. Ancora una volta ci viene in soccorso l’esempio di don Pino, che per i giovani ha avuto sempre una sollecitudine particolare. La famiglia poi è la cellula della società e della Chiesa. Se questa cellula impazzisce, tutto il corpo sociale ne risente. E anche quello ecclesiale. Infine il territorio. Se ci estraniamo dal territorio, come si fa ad affermare che siamo impegnati nella costruzione del regno di Dio in mezzo agli uomini? Il territorio, dunque, ci interpella e il nostro impegno non può non tener conto delle problematiche della <+corsivo>polis<+tondo>, non perché vogliamo creare una società teistica, ma perché il Vangelo deve essere il lievito che fermenta la pasta.
Quali aspetti della predicazione di papa Francesco sente più direttamente rivolti alle Chiese dell’Isola?Gli appelli all’autenticità della vita cristiana. I vescovi latinoamericani hanno detto a più riprese che la loro società è profondamente marcata dalle conseguenze del peccato. Onestamente non siamo stati capaci di dirlo anche qui in Italia. Quando vediamo la corruzione dilagante, il declino della famiglia, l’esplodere della droga, la crisi dei valori non possiamo tacere. Quindi credo che papa Francesco ci stia incoraggiando a una coerenza di fede che deve essere manifestata con i fatti. In fondo non è perché siamo cristiani che siamo in queste condizioni, ma perché non lo siamo stati abbastanza.