Blessing Okoedion
«Mi chiamo Blessing Okoedion e sono nigeriana. Quattro anni fa sono arrivata in Italia coinvolta con l’inganno nella tratta degli esseri umani. Un’esperienza drammatica, di totale annullamento delle mia dignità. Ma nella fede in un “Dio che non dorme” ho trovato il coraggio di denunciare e di uscire da quell’inferno. In una comunità di suore, ho ritrovato la mia resurrezione».
È con queste parole che Blessing, 30 anni, originaria di Edo State, si è rivolta a papa Francesco nel corso della Riunione pre-sinodale dei giovani, ponendogli quella che il Pontefice ha definito una «domanda senza anestesia». Un interrogativo che Blessing ha rivolto tante volte innanzitutto a se stessa, quando - finita nelle mani dei trafficanti di esseri umani e buttata su una strada come schiava per il mercato del sesso a pagamento - è stata costretta a rispondere a un altro tipo di “domanda”: quella dei clienti. «Buttata su quel marciapiedi, terrorizzata e umiliata – ricorda Blessing – mi chiedevo se la mia vita avesse ancora un senso. Avevo studiato, mi ero laureata in informatica. E mi trovavo sulla strada di un Paese straniero, di cui non conoscevo nulla, obbligata a fare quel “lavoro”, come se fosse un mestiere qualsiasi. Ma quello non è un “lavoro”: è una violenza, un abuso, una schiavitù. Se fossi stata costretta a rimanere su quella strada sarebbe stato meglio morire. Tanto era come se fossi già morta».
Blessing chiede aiuto al suo primo “cliente”. È un medico che ha vissuto cinque anni in Nigeria. Conosce il suo Paese, la sua lingua. Blessing pensa: «È Dio che me l’ha mandato!». Gli racconta la sua storia, dice che vuole denunciare i suoi sfruttatori e tornare in Nigeria. Per tutta risposta, il medico le dà 50 euro e la riporta sul marciapiedi da cui l’aveva presa. Blessing ha trovato comunque il coraggio di scappare, di denunciare, di spezzare le catena di quella schiavitù in cui si era ritrovata suo malgrado. «Ma è proprio per questa libertà conquistata – ha detto Blessing a papa Francesco – che sento forte e faccio mio il grido di aiuto e di liberazione di tante altre giovani donne mie sorelle, ancora oggi umiliate e schiavizzate sulle strade e mi chiedo: come aiutare i giovani a prendere consapevolezza di questo “crimine contro l’umanità”?».
Blessing è stata accolta a Casa Rut di Caserta, una casa per donne, vittime di tratta e di violenza, gestita dalle suore orsoline. Qui ha ritrovato fiducia in se stessa e negli altri, ha studiato e ha iniziato a lavorare come mediatrice culturale e interprete. Per aiutare altre ragazze a trovare pure loro il coraggio di liberarsi. In Italia sono dalle 50 alle 70 mila le donne straniere costrette a prostituirsi, metà delle quali nigeriane. Un fenomeno che è cresciuto drammaticamente negli ultimi anni in seguito allo sbarco di migliaia di ragazze provenienti dalla Nigeria, sempre più giovani e sempre meno istruite.
È soprattutto con loro che oggi Blessing lavora. Appoggiandosi saldamente anche sulla sua grande fede, che ha riscoperto a Casa Rut, dove ha ritrovato i valori che le aveva trasmesso la famiglia e che aveva perso dopo essere stata ingannata e trafficata da una donna che si diceva cristiana e che frequentava una delle tante chiese che proliferano in Nigeria. «A Casa Rut – dice Blessing –, grazie a suor Rita Giaretta e alle altre religiose, ho imparato di nuovo cosa significa essere cristiani. Che cos’è l’amore, la tenerezza, il dono e la fedeltà. Sentivo un po’ alla volta che mi stavo rinnovando come persona, come donna e anche come cristiana». Ora però si chiede - e ha chiesto anche a papa Francesco: «La Chiesa, ancora troppo maschilista, è in grado di interrogarsi con verità su questa alta domanda dei clienti, molti dei quali sono cattolici? Può essere credibile nel proporre ai giovani cammini di relazione tra uomo e donna libere e liberanti?». Un grande interrogativo che interpella tutti.