sabato 8 marzo 2025
Dopo Roma e Torino il nostro viaggio tocca la città della Superba. Para don Ricci che racconta il suo ministero accanto ai portuali e carcerati
La parrocchia di San Marco al Molo nella città antica di Genova

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Il nome della parrocchia, San Marco al Molo, dice già in quale zona di Genova si trovi. Il dedalo di carrugi, i vicoli che caratterizzano il centro storico, si affaccia proprio sul molo, una penisola artificiale realizzata a partire dal 1100 a ridosso del porto. Nascosta dalle mura cinquecentesche c’è una chiesa dedicata all’apostolo Marco, un santo caro ai marinai. È proprio per i naviganti che la chiesa fu eretta. «La chiesa è nata per essere il primo e ultimo segno cristiano per chi parte e torna dal mare» spiega il 35enne don Davide Ricci, parroco da pochi mesi. Nel corso dei secoli, diventa anche la parrocchia della “prigione di malapaga”, dove si scontavano le pene per reati finanziari. Un intreccio tra Giustizia e misericordia: al parroco spettava la benedizione dei condannati prima dell’esecuzione capitale.

Oggi i parrocchiani non sono più i carcerati, ma sono rimaste famiglie di marinai e portuali, cui si aggiungono giovani famiglie che scelgono di abitare la zona per la posizione strategica. Ottocento abitanti, un territorio circoscritto al molo, San Marco rappresenta un tessuto sociale composito. Un po’ come tutto il centro storico genovese, che sembra aver mantenuto le caratteristiche del medioevo. Non solo all’interno dello stesso sestiere, ma anche nella stessa via, si possono trovare famiglie abbienti e modeste, genovesi e straniere. Non si vive il fenomeno dello svuotamento del centro come in altre città, gli spazi sono ancora abitati, dimore nobiliari come palazzi modesti. Le famiglie storiche non si sono mai mosse, ma accanto a loro nei decenni la popolazione è continuamente cambiata. Le case che negli anni Sessanta erano abitazioni degli immigrati dal Sud, nei primi anni Duemila sono diventate di latini e maghrebini, adesso di famiglie africane e cinesi. «Il centro – prosegue don Davide – riflette la dinamica del porto: si arriva per un primo approdo, poi con il miglioramento economico si va altrove». La cura pastorale deve tenere conto della realtà, con le sfide che questa singolare fisionomia presenta. La stratificazione culturale e sociale a volte è d’ostacolo alla creazione di uno spirito di unità. «Abbiamo una grande sfida da cogliere – continua don Ricci –: formare una comunità che sappia integrare vecchio e nuovo, dal punto di vista relazionale e da quello delle proposte pastorali». Le parrocchie del centro «non possono essere pensate come comunità standardizzate, che vivono una pratica sacramentale come le altre: Messa, catechismo e attività collaterali. In questo contesto morirebbero». Sono davvero tante le chiese, le rettorie affidate a religiosi e le cappelle che popolano i carrugi. Don Davide sogna una pastorale in cui «la singola parrocchia non abbia la pretesa di fare tutto, non sia autoreferenziale, ma lavori insieme alle altre comunità per suddividere i compiti, così da offrire il meglio alla nostra gente». Ogni parrocchia dovrebbe valorizzare il tessuto umano che le sta intorno, vivendo la missione cristiana in un aspetto specifico. «Sulla carità lo stiamo facendo – sottolinea don Ricci –: non è affidata alle iniziative di una singola parrocchia, ma già oggi è espressione di un lavoro condiviso e comune». Non c’è altra via che unire le forze e creare un équipe. È «un bisogno imposto dalla realtà, perché in centro abitano tante persone che vivono in condizioni economiche difficili».

Don Davide parte da un elemento imprescindibile: «la parrocchia non può rinunciare a chi la abita, e non deve perdere il contatto con il territorio». Dall’altra parte va considerato che il centro non appartiene solo agli abitanti, ma a un gran numero di lavoratori e turisti, che sono forse i primi visitatori dei luoghi di culto. Differenziando la proposta pastorale a seconda della posizione e della caratteristiche di una chiesa, si presenterebbe l’opportunità di «sfruttare lo spazio per un primo annuncio del Vangelo». Se la zona della centrale piazza De Ferrari potrebbe focalizzarsi su una pastorale rivolta ai lavoratori, la parrocchia del Molo potrebbe concentrarsi sui giovani che animano la vita notturna.

L’arcidiocesi ha già tracciato un primo cammino. I progetti Chiese aperte e Pietre vive hanno reso alcune chiese del centro, veri scrigni d’arte, efficaci luoghi di evangelizzazione attraverso la bellezza. Seguendo questo modello, ne è convinto don Davide, i cristiani di Genova potranno davvero «fare comunità tra loro, accogliendo e annunciando il messaggio a tutti».

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Il parroco don Davide Ricci

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