venerdì 22 settembre 2017
La prima prolusione del presidente della Cei. Alle istituzioni: politiche innovative e concrete (come il fattore famiglia nel sistema fiscale). Migrazioni, bene i corridoi umanitari
Bassetti: lavoro, famiglia, giovani e migranti le priorità per il Paese
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Con la prolusione del cardinale presidente Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, si è aperta la sessione autunnale del Consiglio episcopale permanente: i lavori si svolgono a Roma fino a mercoledì nella sede della Cei in Circonvallazione Aurelia. I vescovi si confronteranno sulle risposte delle diocesi italiane al questionario predisposto in vista del prossimo Sinodo dei vescovi su “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale” che è stato voluto da papa Francesco e che si terrà in Vaticano nell’ottobre 2018. All’ordine del giorno anche una riflessione sul tema degli abusi sessuali nei confronti di minori e delle iniziative di prevenzione e formazione nella comunità cristiana; una valutazione circa i risultati e le prospettive del Progetto Policoro e una condivisione sui contenuti della 48ª Settimana sociale dei cattolici italiani che si svolgerà a Cagliari dal 26 al 29 ottobre.

IL TESTO DELLA PROLUSIONE

I cattolici italiani non devono dividersi in “cattolici della morale” e “cattolici del sociale”, ma devono operare uniti per “rammendare” il tessuto sociale del Paese. Lo auspica il cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, nella prolusione pronunciata all'inizio dei lavori della sessione autunnale del Consiglio permanente della Cei. La prima da presidente della Conferenza episcopale italiana.

All'inizio della prolusione Bassetti esprime “profonda gratitudine” al Papa” per la fiducia e la premura che ha riposto nella mia persona affidandomi questo incarico” e ringrazia il cardinale Angelo Bagnasco “per il suo servizio, la fedeltà al Papa e alla Chiesa, e l’attenzione dedicata ad ognuno di noi” nei due mandato da presidente. Ricordando le parole che mons. Enrico Bartoletti scrisse nel suo Diario, l’11 agosto 1972, quando gli fu comunicato il suo nuovo compito in CEI “In manus tuas, Domine! Signore, accetta il mio umile sacrificio e dammi la grazia di cercare solo te”, le fa proprie “con l’assoluta convinzione che senza l’aiuto di Dio non potrei far nulla”. Quindi esprime la vicinanza “a tutte quelle donne che in Italia, pressoché quotidianamente, sono vittime di una violenza cieca e brutale”, nonché alle “popolazioni italiane ferite dal terremoto, da Ischia all’Italia centrale”; “ai cittadini di Livorno, colpiti da una tragica alluvione”; e ”al Messico dove un terribile terremoto ha tolto la vita a centinaia di persone”.

Non un'epoca di cambiamento ma un cambiamento d'epoca

Entrando nel corpo del suo discorso Bassetti, ribadisce quanto detto da papa Francesco al Convegno ecclesiale nazionale di Firenze, e cioè che “oggi non viviamo un’epoca di cambiamento quanto un cambiamento d’epoca”. Il che implica il sorgere di “nuove sfide e nuove domande a cui bisogna fornire, senza paura e con coraggio, delle risposte altrettanto nuove”. Infatti “viviamo in una società tecnologica e secolarizzata” in cui troppo spesso l’uomo è “spaesato, confuso e smarrito”. Da qui l’emergere di “una nuova questione sociale” caratterizzata da almeno tre fattori: “lo sviluppo pervasivo di un nuovo potere tecnico, come aveva intuito profeticamente Romano Guardini; la crisi dell’umano e dell’umanesimo che è il fondamento della nostra civiltà; una manipolazione sempre più profonda dell’oikos, della nostra casa comune, della Terra”.

In questo eccezionale “cambiamento d’epoca”, sottolinea il presidente della Cei, abbiamo la grazia di trovarci di fronte “al messaggio profetico di papa Francesco”, che “richiede una autentica ricezione di tutta la Chiesa: dei vescovi, dei preti, dei religiosi, delle suore, dei diaconi e dei laici”. E in particolare “di liberarci dal clericalismo, perché ogni persona possa avere pienamente il suo spazio in una Chiesa autenticamente sinodale”.

Le tre bussole di orientamento della Chiesa

In questo contesto la Chiesa italiana, ha tre “preziose bussole di orientamento”, tre “priorità che coniugano una sapienza antica con l’attuale magistero pontificio” e cioè: lo spirito missionario; la spiritualità dell’unità; e la cultura della carità. Innanzitutto, raccomanda Bassetti, “siamo chiamati” ad “essere Chiesa al servizio di un’umanità ferita” il “che significa, inequivocabilmente, essere Chiesa missionaria”. Con “un annuncio gioioso, come ci ricorda l'Evangelii Gaudium, che punti all’essenziale”. Con una “visione francescana di un Vangelo sine glossa, quel Vangelo che dobbiamo ad ogni uomo e a ogni donna, senza imporre nulla”. Con “un annuncio d’amore per ogni uomo”, ricordando sempre, “come ci ha insegnato don Primo Mazzolari, che ‘l’Amore non è colui che dà ma Colui che viene’ e che può nascere in una stalla e morire sul Calvario ‘perché mi ama’”.

Così, nel cuore di questo “cambiamento d’epoca”, la Chiesa italiana “sta in mezzo al popolo con la semplicità eloquente del Vangelo, senza altra pretesa che darne testimonianza”. Il primato “dell’annuncio del Vangelo fa tornare semplici” e “talvolta fa archiviare progetti, non sbagliati, ma secondari rispetto a tale primato”.

Seconda “bussola” indicata da Bassetti per la Chiesa italiana è quella di “una spiritualità dell’unità”, che “conduce a parlarsi con parresia”, perché “siamo chiamati a dare vita non ad una Chiesa uniforme, ma ad una Chiesa solidale e unita nella sua complessa pluralità”. Si tratta dunque “di un’autentica vocazione alla collegialità – tra i vescovi e tutto il corpo della Chiesa – e al dialogo”. Infatti “chi dialoga non è un debole ma è, all’opposto, una persona che non ha paura di confrontarsi con l’altro”.

Terza bussola indicata dal presidente della Cei è “la cultura della carità, cioè “la cultura dell’incontro e della vita, che si contrappone alla cultura della paura, dello scarto e della divisione”. La Chiesa infatti “è chiamata a promuovere una cultura che si prefigge ‘l’inclusione sociale dei poveri’ perché essi ‘hanno un posto privilegiato’ nel popolo di Dio”. Tenendo presente che “la cultura della carità è anche sinonimo della cultura di una vita, che va difesa sempre: sia che si tratti di salvare l’esistenza di un bambino nel grembo materno o di un malato grave; e sia che si tratti di uomo o una donna venduti da un trafficante di carne umana”.


È in questo contesto che Bassetti indica “alcuni ambiti su cui la Chiesa italiana è chiamata a fare un serio discernimento” E cioè: il lavoro; i giovani; la famiglia; le migrazioni. La Chiesa “guarda al mondo del lavoro non certo per esprimere una rivendicazione sociale, ma per ribadire un principio evangelico: il lavoro è sempre al servizio dell’uomo e non il contrario”. E “oggi il lavoro è senza dubbio la priorità più importante per il Paese e la disoccupazione giovanile è la grande emergenza”. Di fronte a questa situazione manca “un ‘pensiero lungo’ sul Paese”.

Ed è proprio in questa prospettiva che si colloca la prossima Settimana Sociale di Cagliari dal titolo: Il lavoro che vogliamo: “libero, creativo, partecipativo e solidale”. “Auspico vivamente – dice Bassetti - che questa riflessione, bene impostata nell’Instrumentum laboris, si trasformi presto in una proposta concreta da mettere al centro dell’agenda pubblica del Paese”.


Ai giovani parole di verità

Riguardo ai giovani Bassetti si rifà al ”I care” di don Milani: “Cari confratelli i giovani ci stanno profondamente a cuore”. “Quando si parla ai giovani – aggiunge - bisogna parlare con parole di verità. Senza ripetere ad oltranza una serie di frasi mielose e senza sostanza. Sui giovani, infatti, c’è una drammatica e stucchevole retorica, che purtroppo non viene sempre supportata dai fatti. Dovremmo impegnarci su questo. C’è molto lavoro da fare”.

Le tre sfide della famiglia

Riguardo all'ambito della famiglia Bassetti ribadisce che “la Chiesa italiana, pur tra molte difficoltà, è una Chiesa di popolo”. Un popolo che è senza dubbio costituito “da milioni di famiglie, che costituiscono la cellula basilare della società italiana”. E sono “almeno tre le sfide che la famiglia deve affrontare nel mondo contemporaneo”. Quella di tipo esistenziale che “risiede nelle difficoltà di formare ed essere una famiglia”. Quella di tipo sociale che “consiste nel riuscire a rendere più a misura di famiglia la nostra società, sempre più complessa e logorante”. Infine quella che si “riferisce alla questione antropologica e alla difesa e alla valorizzazione della famiglia tra uomo e donna, aperta ai figli”, una “sfida culturale e spirituale di grandissima portata”. Di fronte alla quale “abbiamo di fronte due strade”. Innanzitutto, quella pastorale “in cui dobbiamo impegnarci nelle Diocesi, nelle parrocchie e negli uffici pastorali per recepire con autenticità lo spirito dell’esortazione apostolica Amoris Laetitia”.

E poi in secondo luogo, “quella sociale in cui chiediamo con forza alle Istituzioni – a partire dalla prossima Conferenza Nazionale per la famiglia – di elaborare politiche innovative e concrete, che riconoscano, soprattutto, il «fattore famiglia» nel sistema fiscale italiano. Una misura giusta e urgente, non più rinviabile, per tutte le famiglie, in particolare quelle numerose. Una misura di cui avvertiamo l’assoluta importanza non solo perché avrebbe dei benefici sui redditi familiari ma perché potrebbe avere degli effetti positivi su un tema cruciale per il futuro della nazione: quello della natalità”.

I corridoi umanitari della Cei

Riguardo al tema delle migrazioni il presidente della Cei poi ricorda che “accogliere, proteggere, promuovere e integrare” sono “i 4 verbi che papa Francesco ha donato alla Chiesa per affrontare la grande sfida delle migrazioni internazionali”. La Chiesa cattolica “si è sempre occupata dell’ospitalità del forestiero e del migrante”. E oggi “promuovere una pastorale per i migranti significa, prima di tutto, difendere la cultura della vita in almeno tre modi: denunciando la «tratta» degli esseri umani e ogni tipo di traffico sulla pelle dei migranti; salvando le vite umane nel deserto, nei campi e nel mare; deplorando i luoghi indecenti dove troppo spesso vengono ammassate queste persone. I corridoi umanitari – nei quali la Chiesa italiana è impegnata in prima persona – sono, quindi, necessari per dare vita ad una carità concreta che rimane nella legalità”.


Bassetti ricorda che “una linea su cui si muove da tempo la CEI, sostenendo numerosi progetti di sviluppo e, recentemente, con la campagna Liberi di partire, liberi di restare” e osserva che “accogliere è un primo gesto, ma c’è una responsabilità ulteriore, prolungata nel tempo, con cui misurarsi con prudenza, intelligenza e realismo”. E “tale processo va affrontato con grande carità e con altrettanta grande responsabilità salvaguardando i diritti di chi arriva e i diritti di chi accoglie e porge la mano”. Avvertendo sui rischi legati al “riemergere drammatico della xenofobia”, che “potrebbe essere la causa di una fratricida guerra tra i poveri nelle nostre periferie”. Bassetti auspica che il processo di integrazione “possa passare anche attraverso il riconoscimento di una nuova cittadinanza, che favorisca la promozione della persona umana e la partecipazione alla vita pubblica di quegli uomini e donne che sono nati in Italia, che parlano la nostra lingua e assumono la nostra memoria storica, con i valori che porta con sé”.

Nella parte finale della sua prolusione Bassetti, citando La Pira (la politica «non è una cosa brutta», ma una missione) e Paolo VI (La politica è una delle più alte forme di carità), sottolinea che “il vero problema è come portare in politica, in modo autentico, la cultura del bene comune. Non basta fare proclami. La proclamazione di un valore non ci mette con la coscienza a posto. Bisogna promuovere processi concreti nella realtà”. E in questo appunto “non è auspicabile che, nonostante le diverse sensibilità, i cattolici si dividano in ‘cattolici della morale’ e in ‘cattolici del sociale’”. “Né si può prendersi cura dei migranti e dei poveri per poi dimenticarsi del valore della vita; oppure, al contrario, farsi paladini della cultura della vita e dimenticarsi dei migranti e dei poveri, sviluppando in alcuni casi addirittura un sentimento ostile verso gli stranieri”.

I cattolici insomma “hanno una responsabilità altissima verso il Paese”: “rammendare il tessuto sociale dell’Italia con prudenza, pazienza e generosità”.

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