martedì 28 maggio 2024
L'espressione irrituale in occasione dell'Assemblea della Cei del 20 maggio. La Sala Stampa: Francesco ha più volte detto che nella Chiesa c'è spazio per tutti
Papa Francesco all'apertura della 79esima Assemblea generale della Cei, il 20 maggio 2024

Papa Francesco all'apertura della 79esima Assemblea generale della Cei, il 20 maggio 2024 - Cristian Gennari

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Ha suscitato un forte clamore l’indiscrezione mediatica secondo cui nel dialogo a porte chiuse con i vescovi italiani dello scorso 20 maggio il Papa avrebbe usato un’espressione colorita per indicare la propria posizione non favorevole all’ammissione in seminario delle persone con tendenze omosessuali.

Un clamore su cui questa mattina il direttore della Sala stampa vaticana Matteo Bruni, rispondendo alle domande dei giornalisti, ha detto che papa Francesco è «al corrente degli articoli usciti di recente circa una conversazione, a porte chiuse, con i vescovi della Cei». Bruni ha aggiunto: «Come il Papa ha avuto modo di affermare in più occasioni, “Nella Chiesa c’è spazio per tutti, per tutti! Nessuno è inutile, nessuno è superfluo, c’è spazio per tutti. Così come siamo, tutti”. Il Papa non ha mai inteso offendere o esprimersi in termini omofobi, e rivolge le sue scuse a coloro che si sono sentiti offesi per l’uso di un termine, riferito da altri».

A parlarne per primo, domenica, è stato il sito Dagospia, riportando che Francesco avrebbe fatto riferimento a un espressione gergale italiana («frociaggine»). Successivamente anche un quotidiano nella propria home page ha ripreso l’indiscrezione. E a seguire tutti gli altri. L’agenzia Ansa, nel pomeriggio di ieri, ha poi affermato che «il severo intervento del Pontefice è confermato da diverse fonti».

Nessuna delle quali, però, ufficiale, essendosi per altro l’incontro tra il Papa e i vescovi svolto a porte chiuse e con carattere informale e colloquiale. In merito al dialogo di una settimana fa già si sapeva – e anche Avvenire ne aveva dato ampiamente conto – che il tema dei seminari e della crisi delle vocazioni in Italia era stato oggetto di più domande da parte dei vescovi durante il dialogo che aveva di fatto aperto la 79.ma Assemblea generale, essendo un tema centrale anche del Sinodo. Domande alle quali, come riferito da più parti e com’è sua abitudine, il Papa aveva risposto con cordialità e franchezza.

Ma niente era finora trapelato circa l’oggetto dell’indiscrezione. Ad ogni modo la posizione della Chiesa non è cambiata rispetto a questo tema. Si può citare a tal proposito un'istruzione del dicastero vaticano per il Clero del 2005, nel pontificato di Benedetto XVI. In quel documento c’era scritto che «la Chiesa, pur rispettando profondamente le persone in questione, non può ammettere al seminario e agli ordini sacri coloro che praticano l'omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay».

L’istruzione è stata confermata nel 2016 con papa Francesco. L’argomento non è nuovo neanche in ambito Cei con i vescovi che stanno rivedendo la ratio formativa dei seminari stessi. E persino nei dialoghi a porte chiuse con Francesco. Nel 2018 l’allora cardinale presidente Gualtiero Bassetti fece intendere di non essere favorevole, anche sulla base della sua lunga esperienza di educatore in seminario e riferì le raccomandazioni del Papa per una oculata scelta dei candidati al sacerdozio. Nihil novi, dunque. Perché al di là dell’espressione colorita eventualmente usata, ciò che interessa da sempre al Papa e ai vescovi è ordinare sacerdoti capaci di essere “pastori con l’odore delle pecore”, e cioè preti che stanno in mezzo alla gente.

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