venerdì 21 giugno 2024
La vicenda dell'arcivescovo convocato dalla Dottrina della fede per le sue posizioni anti papa Francesco e anti Vaticano, occasione per riflettere su come la Chiesa affronta i suoi dissidi interni
L'arcivescovo Carlo Maria Viganò

L'arcivescovo Carlo Maria Viganò - Reuters

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La vicenda di monsignor Carlo Maria Viganò, l’ex nunzio apostolico negli Stati Uniti convocato dal Dicastero per la dottrina della fede perché accusato del delitto di scisma, riporta al centro della cronaca termini riguardanti la vita della Chiesa che magari non tutti conoscono. A cominciare proprio da scisma, parola che deriva dal greco “schisma” e significa divisione. E lo scisma infatti produce fratture, separazioni all’interno della Chiesa. Il Codice di diritto canonico lo definisce al numero 751 come «il rifiuto della sottomissione al Sommo Pontefice o della comunione con i membri della Chiesa a lui soggetti». Tant’è vero, come riporta lo stesso Viganò sul suo account X, che egli dovrà rispondere di «affermazioni pubbliche dalle quali risulta una negazione degli elementi necessari per mantenere la comunione con la Chiesa cattolica: negazione della legittimità di papa Francesco, rottura della comunione con lui e rifiuto del Concilio Vaticano II».

La differenza tra scisma ed eresia
Lo scisma va poi distinto dall’eresia che consiste nel rifiuto di una verità di fede, e dall’apostasia che consiste nel ripudio totale della fede cristiana. Per la precisione, sempre secondo il Diritto canonico, l’eresia è «l'ostinata negazione, dopo aver ricevuto il Battesimo, di una qualche verità che si deve credere per fede divina e cattolica, o il dubbio ostinato su di essa». Riassumendo, l’eresia rifiuta una parte più o meno grande del credo, lo scisma attenta all’unità della Chiesa. Scrive san Tommaso d’Aquino: «l’eresia si contrappone alla fede; lo scisma invece si contrappone all’unità della carità esistente nella Chiesa». E poi citando san Girolamo: «Penso che tra scisma ed eresia ci sia questa differenza, che l’eresia implica un dogma sbagliato, mentre lo scisma si limita a separare dalla Chiesa».

Cosa comporta la scomunica
L’eresia, lo scisma e l’apostasia comportano la scomunica latae sententiae, cioè si potrebbe dire “automaticamente”. Allo scomunicato, come dice il canone 1331 del Codice è fatto divieto «di prendere parte in alcun modo come ministro alla celebrazione del Sacrificio dell’Eucaristia o di qualunque altra cerimonia di culto pubblico; di celebrare sacramenti o sacramentali e di ricevere i sacramenti; di esercitare funzioni in uffici o ministeri o incarichi ecclesiastici qualsiasi, o di porre atti di governo». In pratica lo scomunicato viene escluso dalla comunità e non può celebrare e ricevere i sacramenti. Pur non potendoli celebrare, può invece ricevere i sacramentali, cioè segni che preparano ai sacramenti. Per esempio le benedizioni.

Gli scismi nella storia
Nella sua storia millenaria la Chiesa è stata attraversa da alcuni pesantissimi scismi. Devastante quello datato 1054 che segnò la divisione tra le Chiese d’Oriente (Chiesa ortodossa) e la Chiesa cattolica romana (o Chiesa d’Occidente). Come noto, per attendere la revoca delle scomuniche reciproche bisognerà attendere il 7 dicembre 1965. Viene definito invece “Scisma d’Occidente” quello che si consumò dal 1378 al 1417, attorno all’autorità del sommo pontefice, con Papi e anti Papi e sedi differenti: Roma, Avignone e anche Pisa. In particolare alla morte di Gregorio XI la controversa elezione di Urbano VI portò alla scelta di un antipapa Clemente VII con sede ad Avignone mentre nel 1409 il concilio di Pisa nominò Alessandro V. Lo scisma rientrò a seguire del Concilio di Costanza (1414-1418) che portò all’elezione di Martino V. Nel 1517 poi, con l’affissione delle 95 tesi da parte del monaco agostiniano Martin Lutero, sul portone della chiesa di Wittenberg in Germania, iniziava la Riforma protestante che ha separato al suo interno il cristianesimo d’Occidente. Più di recente si consumò lo scisma lefebvriano, dal nome dell’arcivescovo Marcel Lefebvre (1905-1991), contrario al Concilio Vaticano II e fondatore della fraternità sacerdotale “San Pio X”. Il momento cruciale dello scisma avvenne il 30 giugno 1988, quando Lefebvre, senza il permesso di papa Giovanni Paolo II, consacrò quattro vescovi per garantire la continuazione della stessa Fraternità. Questo portò alla scomunica di Lefebvre, dei quattro nuovi presuli e del vescovo co-consacrante Antonio de Castro Mayer.

Come rientrare dalla scomunica
Lo scomunicato può rientrare in comunione con la Chiesa. Per farlo il primo passo deve essere un pentimento sincero, cui far seguire la confessione sacramentale e la richiesta di assoluzione della scomunica.

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