Una famiglia nella casa distrutta di Aleppo - Afp / Ansa
«Il segno di una vicinanza e di un’amicizia che da tempo si fanno preghiera, condivisione e sostegno concreto e che ora si rinnovano e si rinsaldano in nome della fratellanza e del desiderio di pace». Con queste parole l’arcivescovo Giuseppe Baturi, segretario generale della Conferenza episcopale italiana (Cei), ha annunciato il viaggio nella Siria devastata dal terremoto, in programma da lunedì a domenica prossimi.
Con lui ci sarà don Leonardo Di Mauro, responsabile del servizio per gli interventi caritativi a favore dei Paesi del Terzo mondo. L’obiettivo dell’iniziativa è ribadire la vicinanza e la solidarietà della Chiesa italiana nei confronti della popolazione già duramente provata da dodici anni di guerra e capire come aumentare l’efficacia degli aiuti offerti attraverso i progetti finanziati con i fondi dell’8xmille presenti sul territorio. Finora la Cei ne ha realizzato diciassette, per un totale di oltre 12 milioni di euro.
Tra questi, “Ospedali aperti”, gestito dalla Fondazione Avsi, per il sostegno sanitario ad Aleppo e il programma di formazione e inserimento lavorativo, nella stessa città, promosso dall’associazione Pro Terra Sancta che, dal sisma, distribuisce pasti caldi a centri di accoglienza e conventi. In Siria, inoltre, ma anche in Libano e Giordania, dal 2014, opera Caritas italiana in prima linea nell’assistenza ai profughi del conflitto.
Oltre ad Aleppo – dove è prevista una tappa all’ospedale Saint Luis, costruito con i finanziamenti dell’8xmille –, il segretario della Cei si recherà a Damasco. «Da questa terra non mancherà il nostro ricordo e la nostra prossimità all’altro territorio, quello turco, in sofferenza per le morti e i danni causati dal recente sisma», ha detto monsignor Baturi.
L’ultimo bilancio, diffuso oggi dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), ha oltrepassato i 47mila morti, i feriti sono 125mila. La gran parte delle vittime – oltre 42mila – è stata registrata in Turchia, ma in Siria i dati sono sottostimati per la poca trasparenza del regime. Secondo l’Oms, inoltre, nel Paese, sono 9 milioni i colpiti. Alla perdita di vite, si sommano gli enormi danni alle infrastrutture vitali, a cominciare da quelle sanitarie. Quindici ospedali turchi e sette siriani sono stati danneggiati, quasi tutti nel nord-ovest già devastato dal conflitto. Là ieri sono arrivate decine di camion di aiuti provenienti dalla Giordania, dall’Iraq e da Ankara. Nel frattempo, agli aeroporti di Damasco, Aleppo e Latakia sono atterrati in due settimane duecento velivoli da 23 Paesi. Tra questi anche il primo volo diretto dall’Europa, arrivato ieri dalla Norvegia. Anche la Turchia, però, già provata dalla crisi economica, è stata messa in forte difficoltà dal terremoto del 6 febbraio. Per questo, la Svezia, presidente di turno del Consiglio Ue, ha annunciato una conferenza dei donatori.
Accanto alle tante notizie tragiche sul terremoto, spunta anche un imprevisto “effetto collaterale” positivo per il piccolo villaggio curdo di Incirli. Quasi spopolato prima della catastrofe, il centro è diventato meta di accoglienza per quanti sono rimasti senza casa nelle città della provincia di Hatay. In queste ultime, spesso sovraffollate, la carenza di alloggi ha spinto i nuovi arrivati a edificare dimore provvisorie, crollate in seguito all’ondata tellurica. Così sono tornati nell’area rurale e, in particolare, a Incirli. In 450 hanno trovato rifugio sulla sua terra rocciosa e, dunque, meno sensibile alle scosse.