sabato 24 febbraio 2018
Il Tribunale ecclesiastico ligure «assolve» don Luciano Massaferro, parroco condannato dalla magistratura che ha già scontato 6 anni di carcere. Adesso può tornare a celebrare la Messa
Foto dall'archivio interni (Ansa)

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Un caso che fa discutere per la “distanza” fra due sentenze. Al centro di entrambi i responsi don Luciano Massaferro, sacerdote 53enne di Albenga-Imperia. Dopo più di quattro anni di processo penale canonico, il vescovo di Albenga-Imperia, Guglielmo Borghetti, ha reso noto giovedì il verdetto “ecclesiale” sul parroco accusato (e poi condannato dalla giustizia italiana) di aver molestato nel 2009 una chierichetta che all’epoca dei fatti contestati aveva dodici anni.

Secondo il testo della sentenza, don Massaferro «deve essere completamente riabilitato in quanto non consta che egli abbia commesso i delitti a lui ascritti ». Si tratta di una «sentenza canonica di assoluzione», si legge in una nota della diocesi, che consente al prete di «tornare a celebrare pubblicamente la Messa e i Sacramenti della vita cristiana», prosegue il comunicato pubblicato sul sito Internet diocesano.

La decisione conclude il procedimento «meticoloso e puntuale» – come viene definito nella nota – affidato nel 2013 dalla Congregazione per la dottrina della fede all’arcivescovo di Genova, il cardinale Angelo Bagnasco, in qualità di giudice delegato coadiuvato da due “assessori officiali” del Tribunale ecclesiastico regionale ligure. Per i giudici della Penisola, invece, don Massaferro è colpevole. Sette anni e otto mesi di carcere, la condanna inflitta in primo grado dal Tribunale di Savona nel febbraio 2011. Pena confermata nel novembre 2011 dalla Corte d’Appello di Genova. E nel 2012 ecco il “sigillo” della Cassazione che respinge il ricorso presentato dal noto avvocato Franco Coppi – difensore del prete ligure – e rende definiva la sentenza in cui si legge che il sacerdote ha «costretto in più occasioni la minore, approfittando dell’autorità conferitagli dal suo ruolo di parroco della chiesa di San Vincenzo di Alassio, a compiere o subire atti sessuali».

Alla fine don Massaferro sconta sei anni e due mesi di reclusione (fra cella e arresti domiciliari) dopo essergli stati riconosciuti i benefici di legge per buona condotta. Il suo arresto risale al 29 dicembre 2009 quando viene fermato da undici agenti di polizia che lo conducono nel carcere di Chiavari e sottopongono la sua abitazione a perquisizioni approfondite. Fin da subito il parroco rigetta le accuse e sempre si proclama innocente. L’inchiesta era partita qualche mese prima dal racconto di una ragazzina che – in base alla ricostruzione della magistratura – faceva riferimento a molestie avvenute nel maggio 2009 in tre momenti: durante il tragitto in moto nelle colline di Alassio per le annuali benedizioni delle famiglie; poi in un capanno degli attrezzi di campagna che il prete usava nel tempo libero; infine nella biblioteca al primo piano della casa parrocchiale di San Vincenzo Ferreri.

L’arresto e poi i processi dividono la popolazione. Vengono organizzate fiaccolate a sostegno del sacerdote e ancora oggi un sito prova a evidenziare le presunte lacune delle sentenze. Verdetti in cui si stabilisce l’interdizione in perpetuo dai pubblici uffici, da qualunque incarico nelle scuole di ogni ordine e grado e anche da ogni «servizio in istituzioni o in altre strutture pubbliche o private frequentate prevalentemente da minori» e che prevedono un risarcimento danni di 190mila euro. «Abbiamo avuto solo poche migliaia di euro chiedendo il pignoramento del quinto dello stipendio che l’Istituto sostentamento del clero assegnava al prete», ha riferito al Secolo XIX l’avvocato Mauro Vannucci che assiste la ragazza (oggi maggiorenne). Scattate le manette, una parte della comunità scrive anche al Papa e al presidente della Repubblica per perorare la causa di don Massaferro.

E lui stesso invierà ai fedeli cento lettere dai penitenziari di Sanremo e La Spezia e poi dalle località in cui si trova ai domiciliari o in affidamento: ogni missiva inizia con il computo dei giorni di «ingiusta detenzione», come il prete annota in tutti i testi. Nel giugno 2016 l’ex parroco torna libero. Con la sentenza canonica, cessano «le pene cautelative» che il vescovo aveva imposto al presbitero. Sollecitato dalle agenzie di stampa il cardinale Bagnasco non entra nei dettagli del procedimento ma spiega: «Mi risulta che siano state fatte tutte le procedure previste canonicamente e giuridicamente per il reintegro. Se si è arrivati a questa sentenza sicuramente ci sono ampie motivazioni». Il porporato sottolinea che don Massaferro «tornerà operativo secondo le modalità previste».

E aggiunge: «L’augurio è che ripristinata la verità, secondo le procedure previste giuridicamente, lui possa essere sereno in ciò che potrà fare come sacerdote nei limiti delle possibilità previste». La diocesi di Albenga-Imperia tiene comunque a precisare che «resta immutata la posizione» del prete «come venne disposto a suo tempo nella sentenza penale della magistratura italiana». Ma al tempo stesso auspica che la decisione canonica «sia accolta con animo sereno dai fedeli che in questi anni hanno seguito l’intera vicenda».

Monsignor Borghetti: verdetti da rispettare

Cita l’articolo 7 della Costituzione italiana. «Secondo la nostra Carta, lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani», spiega il vescovo di Albenga-Imperia, Guglielmo Borghetti. E il riferimento ai principi fondamentali nella prima parte della Costituzione serve al presule per parlare della sentenza canonica che assolve un sacerdote della sua diocesi, don Luciano Massaferro, dall’accusa di molestie su una ragazzina, mentre per la giustizia italiana il prete è colpevole in via definitiva e ha già scontato oltre sei anni di reclusione. «Entrambe le sentenze – afferma Borghetti – vanno rispettate. E ho preso atto delle due decisioni. Non posso dubitare della bontà dell’una o dell’altra oppure entrare nel merito tecnico dei responsi. Sono convinto che tutti abbiano fatto il loro dovere nei procedimenti che hanno portato ai verdetti».

La vicenda di don Massaferro scoppia nel 2009 con l’arresto del parroco di Alassio. Ma Borghetti sarebbe arrivato nella diocesi di Albenga-Imperia soltanto nel 2015 come vescovo coadiutore diventando titolare nel settembre 2016. Anche il procedimento canonico che si è concluso con l’assoluzione è già in corso quando l’attuale pastore giunge nel Ponente ligure: si apre nel 2013 e si svolge a Genova, nel Tribunale ecclesiastico regionale. «In base alla sentenza canonica – sottolinea adesso il vescovo di Albenga-Imperia – avverrà un reintegro graduale del sacerdote nel ministero pastorale e nella vita diocesana. Ciò si svolgerà in pieno accordo con il presbitero. Comunque ogni passo sarà compiuto con la prudenza e la delicatezza del caso. Occorre riappacificare gli animi di tutti coloro che in questi anni hanno seguito quanto accaduto».

Borghetti tiene a evidenziare che don Massaferro «ha pagato il suo debito con la giustizia italiana». Ma aggiunge che «resta immutata la sua posizione come è stato disposto a suo tempo nella sentenza penale» della Cassazione che ha confermato la condanna a sette anni e otto mesi di reclusione. In particolare i giudici hanno anche stabilito la sua interdizione in perpetuo da qualunque incarico nelle scuole e da ogni servizio in strutture pubbliche o private frequentate prevalentemente da ragazzi.

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