“Se fare un gesto d’amore ti fa sentire bene, immagina farne migliaia”. Questo il claim della nuova campagna di comunicazione 8xmille della Conferenza Episcopale Italiana, che dal 2 maggio prossimo, attraverso tutti i mezzi di comunicazione sensibilizzerà gli italiani in merito alla firma in favore della Chiesa cattolica sull’8xmille.
Una campagna, che secondo la Cei, “mette in evidenza il significato profondo di un semplice gesto che permette ogni anno la realizzazione di migliaia di progetti in Italia e nei Paesi in via di sviluppo”. L’iniziativa di comunicazione, viene inoltre sottolineato, “mette inoltre in luce la relazione forte e significativa tra la vita quotidiana dei cittadini e le opere della Chiesa, attraverso la metafora dei “gesti d’amore”: piccoli o grandi gesti di altruismo che capita di fare nella vita e che non fanno sentire bene solo chi li riceve, ma anche chi li compie.
Negli spot, da 30 e 15 secondi, infatti, si parte sempre da comportamenti di ordinaria gratuità. Alzarsi per cedere il posto a un anziano sull’autobus. Condividere il proprio ombrello sotto la pioggia con chi ne è sprovvisto. Accogliere in casa un ospite. Sono gesti che fanno sentire bene anche chi li compie, oltre che chi li riceve. E da qui il discorso si allarga alle migliaia e migliaia di gesti d’amore che la Chiesa compie in tutta Italia e all’estero ogni giorno: mense, case di accoglienza, ospedali, dormitori per senza dimora. I soggetti dei filmati sono nove, tutti girati in opere reali sostenute dall’8xmille nel nostro Paese e in un caso anche in Tanzania, e con protagonisti gli operatori autentici.
“L’8xmille fa bene – ha sottolineato il segretario generale della Cei, l’arcivescovo di Cagliari Giuseppe Baturi nel corso della conferenza stampa di presentazione della campagna -. Fa bene alle persone destinatarie. Ai bambini di Aleppo. Ai disoccupati. A chi frequenta le nostre mense. A chi attraverso l’assistenza spirituale e materiale dei sacerdoti ritrova fiducia in se stesso. E fa bene anche alla Chiesa e alla società, perché uno straordinario strumento per fare del bene”. Il segretario generale ha anche ricordato che l’8xmille “fa bene anche allo Stato, perché è il primo strumento di democrazia fiscale”. Quindi “crea le condizioni per una società più solidale e fa bene anche alla democrazia”. In sostanza, ha spiegato, “consentiamo a una fascia importante di operatori di aiutare chi è in difficoltà e di attivare nuovi servizi. E non dimentichiamo che il welfare in Italia è determinato anche da questa rete comunitaria e solidale”.
Inoltre, ha aggiunto Baturi, “grazie all’otto per mille vengono finanziati più di 600 progetti ai Paesi poveri all’anno”. Alla Caritas Ucraina, ad esempio, la Cei grazie a proventi dell’otto per mille ha donato 10 milioni di euro, più altrettanti per l’accoglienza degli ucraini in Italia. E' ancora in fase di conteggio il ricavato dalla raccolta del 26 marzo scorso a favore delle vittime del terremoto in Siria e Turchia.
La realizzazione campagna, ha detto Maurizio Monzio Compagnoni, responsabile del Servizio per la promozione del sostegno economico alla Chiesa cattolica, è costata un milione di euro, con un significativo risparmio rispetto agli anni precedenti. La creatività è opera dell’agenzia Wunderman Thompson Italia (autori Massimiliano Traschitti e Antonio Codina, regia di Edoardo Lugari), scelta in una gara cui hanno partecipato altre sette agenzie. “Si è puntato su un linguaggio nuovo – ha spiegato Monzio Compagnoni – rendendo protagonista del cambiamento chi firma, in quanto autore di una scelta solidale, frutto di una decisione consapevole, da rinnovare ogni anno”.
La Cei punta anche a recuperare, con iniziative apposite di raccolta degli appositi moduli nelle parrocchie, le firme di coloro che non sono più obbligati alla presentazione della dichiarazione dei redditi (10 milioni di persone) e che per effettuare la scelta devono fare un vero e proprio percorso a ostacoli, particolarmente difficile specie per gli anziani. La diminuzione delle firme, ha chiarito Monzio Compagnoni, dipende anche da questo, ma ha inciso molto anche la pandemia. È stato calcolato che un milione di persone che firmavano per la Chiesa cattolica, hanno fimato per lo Stato, sotto la spinta emotiva del fatto che sembrava che con le Chiese chiuse era lo Stato ad aiutare chi non aveva risorse”. In realtà, ha ricordato monsignor Baturi, se le porte delle chiese erano chiuse, “certamente non lo erano quelle delle Caritas che hanno continuato ad assistere centinaia di miglia di persone”.
A margine della conferenza stampa monsignor Baturi ha risposto ad alcune domande.
“Nessuno fa mai abbastanza sul lavoro, tutti dobbiamo tentare di fare di più”, ha detto in vista del primo maggio e in merito all’azione del governo in questo ambito. Quella italiana è per il presule, “una situazione davvero grave, soprattutto se si tiene conto del fatto che il lavoro non è solo ciò che permette di sostentare la propria famiglia, ma è ciò che rende degno l’uomo, dà senso alla sua vita”. Preoccupa soprattutto “l’avanzamento delle tecnologie, se non ben gestito, mette ai margini alcuni tipi di lavoratori, delocalizza il lavoro o punta ad una manodopera a basso prezzo con scarse garanzie”. “Bisogna cambiare logica”, il monito dell’arcivescovo: “il bene comune non deve incentrarsi sulla massimizzazione dei consumi, ma basarsi sulla centralità dell’uomo e del suo lavoro”. “Il tema del lavoro, come quello della famiglia, è fondante per l’assetto della nostra società e per la dignità umana. In materia di politiche attive per il lavoro e nel momento in cui si dibatte sull’eliminazione del reddito di cittadinanza, Baturi ha risposto: “La logica della Chiesa è quella del Buon Samaritano: piegarsi sull’uomo che ha bisogno è inevitabile per venire incontro alle sue necessità, ma un atto di carità non è mai puntiforme, coinvolge l’idea stessa di società. Se non c’è possibilità di incidere sullo sviluppo, l’atto di carità si rivela asfittico”.
Citando l’attività della Caritas a favore delle povertà, Baturi ha fatto notare che “occorre differenziare tra le politiche attive di inserimento o reinserimento al lavoro, laddove è possibile, e la necessità di aiutare i poveri cronicizzati”. Inoltre “bisogna collegare la povertà economica alla povertà educativa, scommettendo anche sull’educazione e l’istruzione”.
Quanto poi alla possibilità per le donne di partecipare al Sinodo con diritto di voto, ha detto: “È una novità significativa perché sposta l'attenzione dal Sinodo dei Vescovi ad un Sinodo universale che vede la partecipazione di tutte le componenti del popolo di Dio: uomini e donne, vescovi e non vescovi”.