undefined - FOTOGRAMMA/Roberto Brancolini
Un Meeting senza applausometro per i politici, molto affollato di gente comune, che parla di pace e cerca il senso essenziale della vita. Un Meeting, insomma, con pochi scoop e parecchia sostanza, come piace a Giorgio Vittadini, docente di statistica e presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, nonché, da sempre, uno dei protagonisti del Meeting. Ecco il suo bilancio.
Anche quest’anno i politici erano tanti, eppure non hanno lasciato il segno. La politica non è più essenziale?
Direi invece che è stato interessante che i politici non siano emersi sulle polemiche spicciole, ma sui contenuti: sia inFiera che sui media hanno parlato di welfare, di modello di sviluppo, di lavoro ed Europa. In tal senso, la politica ha avuto la sua bella incidenza. È mancata la polemica, certo, ma quella rende la politica invisa alla gente, che ha bisogno di risposte ai problemi. L’incidenza sui contenuti è meno clamorosa, ma più profonda e stabile.
Meloni e Schlein hanno disertato il Meeting o non le avevate invitate?
Innanzitutto il Meeting invita personaggi istituzionali. Parlando del premier, che la Meloni abbia preferito le vacanze con sua figlia a un dibattito pur importante le fa onore.
Doveva essere il Meeting della pace, ma il messaggio che esce, a partire dalla testimonianza di monsignor Pizzaballa, non è incoraggiante. Si aspettava qualcosa di diverso?
Al contrario, ho apprezzato molto sia il patriarca sia il cardinal Zuppi. Pizzaballa non aveva soluzioni politiche e ci ha mostrato che la pace si costruisce nel lungo periodo attraverso il cambiamento degli uomini e il miglioramento delle condizioni economiche e sociali. Lo stesso messaggio è arrivato dal presidente della Cei: se dietro gli sforzi diplomatici non c’è l’impegno a ricostruire in termini sussidiari, non si va da nessuna parte.
Le parole del segretario della lega musulmana Al-Issa sono state forti e condivise da Zuppi. Perchè quelle delle religioni, come hanno ammesso entrambi, oggi sono così deboli?
Anche se un negoziato può essere lungo e difficile, credo che le religioni possano dare un contributo nell’intercettare il desiderio di senso profondo, spingere a superare l’egoismo e introdurre a un visione più umana. Come Fondazione per la Sussidiarietà siamo molto attenti a cogliere i segni, in ambito sociale, economico e politico, di un’antropologia di questo tipo, più aperta alle dimensioni positive e costruttive dell’umano.
Con Piantedosi si è imposto il tema dello ius scholae e da quel momento è iniziata la rissa, con Salvini in prima fila. Ci crede che questo diritto vedrà la luce?
Mi baso su un dato. I migranti sono una enorme risorsa per il Paese, in quanto, di fronte al crollo demografico, se non abbiamo gente che lavora e costruisce o ricostruisce, ci attenderà un crollo dell’Italia anche in termini di sviluppo e di welfare. Il bisogno c’è, alla politica spetta scegliere lo strumento. L’estate finirà, le risse anche.
L’istruzione dovrebbe essere una priorità per tutti: il governatore di Bankitalia ha ricordato che spendiamo meno di 80 miliardi di euro mentre quasi 83 li usiamo per pagare gli interessi sul debito. Cosa ipoteca di più il futuro di un Paese?
Proprio al Meeting l’allora premier Draghi aveva fissato il tema in cima all’agenda del Paese. Da anni come Fondazione studiamo il nesso tra qualità dell’istruzione, soft skill e sviluppo. Che oggi lo rilancino Panetta e Giorgetti è importantissimo perché speriamo che si cominci a capire questa verità: una economia non cresce solo con le infrastrutture fisiche, ma anche attraverso quelle umane.
Non c’è solo un nodo finanziario: istruzione e “soft skill” sono vittime anche della riduzione di ogni forma di comunicazione umana all’ambito digitale e questo processo impatta sulla pedagogia del Meeting, fondata sull’incontro e sull’amicizia, sulle reti sociali, sul confronto e sulla discussione. Il digitale produce veramente uno sviluppo umano e umanizzante?
Su questo punto posso rispondere da ricercatore: abbiamo curato con Astrid uno studio in uscita su questo tema, in cui si mostrano i danni della disintermediazione evidenziando la necessità di un rinnovato rapporto tra corpi intermedi e una nuova politica. Anche a livello sociale ed educativo, il digitale può esser usato in termini non individuali, ma collettivi - sono molte le piattaforme che hanno questa utilità - aiutando i corpi intermedi a incontrare, superando l’ostacolo della distanza. L’uso degli strumenti non è neutrale, ma spetta a noi valorizzare l’uso più umanizzante.
La Fondazione lavora per la Sussidiarietà, su cui sicuramente si sono fatti molti passi avanti. Tuttavia, resta più facile affidare al non profit l’assistenza agli anziani che la sanità ospedaliera. Non manca la convinzione, a tutti i livelli istituzionali?
La Fondazione dedicherà il suo prossimo rapporto di ricerca a questi temi, tra cui l’assistenza degli anziani, in quanto vi è il rischio concreto - tra invecchiamento e debito - di rinunciare alla grande conquista italiana ed europea del welfare universalistico: ci sono già forti diseguaglianze, non si riesce a coordinare la spesa, vi è incapacità di raggiungere fasce deboli e un eccesso di trasferimenti monetari rispetto ai servizi. Quello lanciato al Meeting è un grido d’allarme per qualcosa che tocca tutti e che speriamo torni al centro della vita sociale e politica, per trovar rimedio.
Dalla riforma del Titolo V sono passati più di vent’anni. Non sono passati un po’ troppo lentamente?
Il presidente della Corte Costituzionale, Augusto Barbera, ha ricordato che la Consulta si è espressa più volte - ricordo la sentenza 31/2020 – sull’amministrazione condivisa tra pubblico e Terzo settore. Adesso, obiettivamente, tocca al Parlamento attuare queste visioni costituzionali perché la sussidiarietà divenga prassi nel nostro ordinamento e nell’amministrazione.
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