(Ansa)
Dopo l’ok del Consiglio dei ministri manca solo quello delle Camere. Uno degli ultimi atti del governo Gentiloni sarà dunque l’invio di un contingente di circa 500 uomini in Niger. La decisione è stata presa dopo averne dato comunicazione al Presidente della Repubblica, «considerata - informa una nota di Palazzo Chigi – la necessità di adempiere alle obbligazioni e agli impegni internazionali assunti dall’Italia, e sarà successivamente trasmessa alle Camere per la discussione e l’autorizzazione con appositi atti di indirizzo e deliberazioni, secondo le norme dei rispettivi regolamenti, eventualmente definendo impegni per il Governo».
Un team di ricognizione è in questi giorni a Niamey, la capitale del Niger, per studiare le necessità della nuova missione militare italiana. L’obiettivo, ha spiegato il presidente del Consiglio, è «consolidare quel Paese, contrastare il traffico degli esseri umani ed il terrorismo». Saranno impiegate «alcune centinaia di uomini», ha spiegato il capo di Stato Maggiore della Difesa, il generale Claudio Graziano e contestualmente avverrà una riduzione del contingente dispiegato in Iraq nella coalizione anti-Daesh. Uno spostamento verso l’Africa ed il Mediterraneo che coincide con quelli che al momento sono gli «interessi nazionali».
Gentiloni ha voluto precisare che l’intervento italiano è «su richiesta» del governo del Paese africano, «per consolidare gli assetti di controllo del territorio, delle frontiere e per rafforzare, formare, addestrare le forze nazionali».
«Non sarà – ha assicurato il generale Graziano – una missione “combat”: il nostro contingente avrà il compito di addestrare le forze nigerine e renderle in grado di contrastare efficacemente il traffico di migranti ed il terrorismo. È la stessa attività che gli italiani svolgono in Iraq e in Afghanistan e cioè preparare le forze locali a conservare la stabilità, a creare una capacità interna di mantenere la sicurezza». Al di là delle rassicurazioni, «mantenere la sicurezza» senza prevedere operazioni con il colpo in canna sarebbe un controsenso. All’inizio di novembre tre caschi blu dell’Onu originari proprio del Niger e un militare maliano sono stati uccisi e altri sono rimasti feriti nel nord del Mali (al confine con il Niger) nel corso di un attacco mai rivendicato.
Il 30 ottobre il segretario dell’Onu, Antonio Guterres, ha proposto al Consiglio di Sicurezza quattro piani di sostegno alla Forza congiunta G5 nel Sahel creata da Burkina Faso, Mali, Mauritania, Niger e Ciad, per il contrasto al terrorismo e ai traffici illeciti nella regione. Tutte le opzioni comprendevano l’impegno della missione Minusma, espandendone il mandato dal Mali al Niger.
Fino ad ora oltre alla storica presenza delle legioni francesi, erano presenti in Niger militari da Canada, Usa, Algeria e Germania. In Mali, ma con continui sconfinamenti in Niger, agisce il G5 Sahel, l’iniziativa militare congiunta tra Mali, Niger, Ciad, Burkina Faso e Mauritania, pianificata nel febbraio del 2014 e lanciata lo scorso luglio. L’Italia, dunque, si aggiunge in un Paese dal quale era sostanzialmente assente.
Il problema, alla lunga, saranno i quattrini. Il budget stimato per il funzionamento della sola operazione del G5 Sahel ammonta a 423 milioni di euro e, per il momento, i fondi raccolti coprono solamente un quarto della cifra. Gli Stati aderenti al progetto hanno promesso 10 milioni di euro a testa, ai quali si aggiungono 8 milioni provenienti dalla Francia e 50 dall’Unione europea (che però è disposta a stanziare fondi assai superiori). Dopo un lungo braccio di ferro diplomatico tra Washington e Parigi, avvenuto durante la presidenza francese del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, lo scorso 30 ottobre il segretario di Stato americano Rex Tillerson ha annunciato un sovvenzionamento di 51 milioni di euro. Un parziale cambio di rotta per gli Stati Uniti, che fin da subito si erano mostrati contrari a un finanziamento da parte delle Nazioni Unite arrivando a minacciare il veto sulla risoluzione adottata a giugno.
Sempre a ottobre si è svolta una missione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nei Paesi del Sahel, guidata dall’Italia insieme a Francia ed Etiopia. Proprio attraverso il Sahel arriva circa l’80% dei migranti che si imbarca per l’Italia.Per l’ambasciatore Sebastiano Cardi, rappresentante permanente al Palazzo di Vetro, quella era stata «una tappa fondamentale», che ha permesso di acquisire importanti elementi sullo stato di avanzamento nella costituzione del G5, sulle sue implicazioni strategiche e i bisogni in termini di equipaggiamento e formazione. Impostazione ribadita ieri da una nota dello Stato Maggiore che dapprima si è affrettato a smentire che l’operazione sia stata chiamata "Deserto Rosso", (definizione che evoca più un campo di battaglia che una impostazione "umanitaria") e poi ha precisato che «lo scopo della missione è quello di incrementare la capacità operativa delle Forze nigerine e di metterle in condizioni di garantire la stabilità dell’area e contrastare i traffici illegali di migranti».