Il 14 febbraio «Bologna Sette», inserto diocesano domenicale di Avvenire, ha ospitato un intervento di Valerio Onida a commento della «Lettera alla Costituzione» scritta dal cardinale Matteo Zuppi. Ecco il testo del presidente emerito della Corte Costituzionale.
La lettera che il cardinale Zuppi ha scritto "alla Costituzione" mette bene in rilievo che cos'è e che cosa deve essere per ciascuno di noi questo testo di quasi settantacinque anni fa, con tutti gli aggiornamenti recati nel tempo da leggi dette "costituzionali" appunto perchè dirette a integrare il testo originario. Non è solo un pur prezioso documento che ci parla del nostro passato e della nostra storia, e nemmeno solo una "legge" che disciplina in modo vincolante determinate categorie di condotte, anche se la Costituzione è la legge fondamentale del nostro Paese, cui dobbiamo osservanza e fedeltà (art. 54), destinata a guidare i nostri comportamenti di natura sociale. Essa è prima di tutto e soprattutto la "Carta di valori", espressione dei principi e dei criteri di fondo che connotano e debbono connotare, sulla base di convinzioni e aspirazioni collettive condivise e più profonde, l'"ordine" ideale della società in cui viviamo e che aspiriamo a costruire.
Ci parla del passato da cui è nata, del presente in cui siamo chiamati a realizzarla, e direi soprattutto del futuro che siamo chiamati, ciascuno di noi, a difendere e a costruire insieme. Questo vale soprattutto per i "principi fondamentali" degli articoli da 1 a 12 (l'architrave dell'edificio costituzionale), e per la prima parte, intitolata ai "diritti e doveri dei cittadini", cioè di tutti coloro che vivono nella nostra società. Si tratta dei "diritti inviolabili dell'uomo" (articolo 2), cioè dell'essere umano, e dei "doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale" (sempre articolo 2). La parola "solidarietà" è particolarmente espressiva, perché dice come la società sia vista dalla Costituzione non come un insieme di individui isolati, ciascuno con le proprie caratteristiche, capacità e abilità, e con una sua vita del tutto indipendente dalla stessa società, pur se casualmente destinato a vivere con altri e a instaurare relazioni con essi: ma come un "corpo" sociale: qualcosa di "solido" in cui le relazioni con gli altri non sono lasciate al caso o solo alla libera volontà di ciascuno, nè tanto meno ai rapporti di forza, ma esprimono "stare insieme" e un concorrere necessario a scopi comuni. Una solidarietà, si noti, non generica o sentimentale, ma "politica, economica e sociale": cioè che attiene al modo di costruire e regolare la "polis", la "città" con tutti i suoi elementi di distribuzione dei compiti e di cooperazione; ai rapporti con i beni della vita, alla loro produzione e distribuzione (l'economia); ai rapporti di convivenza e di collaborazione per ogni aspetto della vita sociale.
Si tratta tuttavia non di un "legame" fra gli individui che possa trascurare o annullare, in nome di veri o presunti interessi della collettività, le libertà o i bisogni dei singoli individui. Questi non sono "pezzi" di una macchina collettiva che persegua solo scopi comuni, nel cui ambito lo spazio dell'individuo e della sua libertà possa scomparire o tendere a scomparire, ma sono soggetti ciascuno dei quali pienamente riconosciuto come persona, libera ed uguale "in dignità e diritti", "dotata di ragione e di coscienza", e chiamata ad agire verso gli altri "in spirito di fratellanza", come recita l'articolo 1 della Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo, proclamata dall'Onu nello stesso anno in cui è entrata in vigore la nostra Costituzione (il 1948). Dunque, diritti e doveri, libertà individuali e interessi generali. Il "noi" della Costituzione non è una società che possa, in nome di veri o presunti interessi generali, dimenticare o violare i fondamentali diritti di ognuno o anche di uno solo dei suoi componenti, ma nemmeno una società che, in nome delle libertà individuali, sacrificare senza limiti gli interessi collettivi, cioè degli altri.
Ecco perché i poteri che in base alla Costituzione vengono esercitati dagli organi pubblici non possono in nessun caso essere esercitati senza limiti, e i fini per cui si esercitano non sono solo fini di "ordine" (per evitare prevaricazioni e conflitti e garantire la tranquillità sociale) ma anche fini di "giustizia", per difendere e costruire una società più "giusta", cioè capace di garantire i diritti e la dignità di tutte le persone, in ispecie delle più deboli, e di assicurare l'osservanza dei doveri di tutti. Tutte le persone significa davvero tutti, anche coloro che la società si incarica di punire quando commettano gravi violazioni dei diritti degli altri o degli interessi collettivi: tant'è che è proprio la Costituzione ad imporre di imprimere alle pene (gli strumenti repressivi e preventivi previsti dalla legge), la finalità "rieducazione del condannato", cioè del suo recupero sociale per il futuro (articolo 27). Il costituzionalismo affermatosi negli ultimi secoli, specie dalla seconda metà del Settecento, faceva essenzialmente riferimento ad un "noi" identificato con la base sociale dello Stato o della "nazione", in nome dei quali si esercitavano i diritti e i doveri collettivi (la "sovranità" dello Stato o sovranità nazionale). Ma, a partire specialmente dalla fine della seconda guerra mondiale, è andato costruendosi un costituzionalismo "universale" - ancora lontano dall'essersi pienamente affermato nella realtà - in cui, pur nel rispetto dell'identità di ogni gruppo umano, quei principi si riferiscono ad un "noi" pluralistico e identificato in radice con l'"umanità comune". Di questo è espressione anche la nostra Costituzione, che non manca di sottolineare il carattere "universalistico" dei diritti fondamentali, affermati pure dalle Carte e dalle convenzioni internazionali, e di perseguire la costruzione, anche attraverso la limitazione delle "sovranità" nazionali, di un mondo che assicuri "la pace e la giustizia fra le Nazioni" (articolo 11).
Anche per questo aspetto, come per l'aspetto "interno" al nostro Stato, la Costituzione è ben consapevole che si tratta di ideali e di fini "in cammino nella storia", verso obiettivi sempre in costruzione e mai pienamente raggiunti.
Questo significa il carattere "programmatico" della nostra come di altre Costituzioni contemporanee. Sta alla politica - cioè a tutti noi "costruire" nel tempo e nello spazio le azioni necessarie a perseguire gli obiettivi di "pieno sviluppo della persona umana" e di "effettiva partecipazione di tutti i lavoratori" - vale a dire di tutte le persone titolari del diritto e del dovere del lavoro come svolgimento, "secondo le proprie possibilità e la propria scelta", di un'attività o una funzione che "concorra al progresso materiale o spirituale della società" (articolo 4) - "all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese" (art. 3).
Scegliere gli obiettivi concreti e possibili e apprestare i mezzi necessari è il compito della politica, con le scelte che la società democratica è chiamata a fare ogni giorno: ma la strada da percorrere è quella, segnata dalla Costituzione.