A Fiumicino sono state somministrate le prime dosi anche agli insegnanti - Ansa
C’è uno studio, sdoganato dall’Ispi, che sta facendo molto discutere in queste ore esperti e non sul web: mostra come delle oltre 3 milioni e 500mila dosi di vaccino attualmente somministrate nel nostro Paese, soltanto 547mila siano state iniettate agli over 80. Cioè alla categoria più colpita dal Covid: quella di chi ha più comorbidità, che più frequentemente finisce in ospedale e che più spesso, anche, muore. Il dato mette l’Italia, per la prima volta, in fondo alla classifica europea: ci superano Polonia, Repubblica Ceca, Finlandia, Svezia, Germania, Francia, persino la Croazia. Ci segue, di fatto, soltanto la Lituania. Le ragioni sono presto spiegate: l’Italia ha da subito deciso di mettere in cima alla lista dei vaccinati i suoi operatori sanitari. La scelta, bisogna sottolinearlo, ha avuto vantaggi che sono stati anche decantati dai Paesi vicini: mettere in sicurezza medici e infermieri e operatori delle Rsa ha senz’altro aiutato a ridurre la pressione dell’epidemia sugli ospedali (i dati dell’Istituto superiore di sanità hanno certificato un dimezzamento dei casi in questi ambiti nell’ultimo mese) e in qualche modo contribuisce anche a ridurre la possibilità che proprio i più fragili, ricoverati nelle strutture sanitarie, siano esposti al contagio. Ma a guardare i numeri – ben 830mila persone vaccinate tra i 50 e i 60 anni, quasi 650mila tra i 40 e i 50 e 515mila tra i 30 e i 40 – qualche dubbio circa la strategia vaccinale scelta dal nostro Paese finisce inevitabilmente per sorgere. Specialmente perché quella strategia, ancora, aspetta d’essere messa nero su bianco.
Raccontavamo su Avvenire, appena dieci giorni fa, di come le Regioni procedessero in ordine sparso e per così dire “artigianale” con la campagna vaccinale: chi creandosi piattaforme di registrazione dedicate, chi aprendo auditorium e teatri, chi cronometrando le vaccinazioni e investendo consulenti di poteri straordinari, chi ricordandosi della priorità indicata dal ministero per i disabili (e poi improvvisamente svanita). Le cose non sono affatto cambiate, anzi: dopo la notizia dell’accordo nazionale del ministero coi medici di base, tanto per fare un esempio, ieri la Toscana ha fatto sapere d’essere pronta a rendere disponibili kit di dosi per questi ultimi nelle farmacie, da redistribuire poi negli studi. Nelle stesse ore, il Lazio annunciava la trasformazione della prima stazione ferroviaria – Roma Termini – in un grande punto vaccinale a cielo aperto, la determinazione di iniziare quanto prima con le vaccinazioni sui più vulnerabili e le prime dosi somministrate sui prof a Fiumicino, mentre la Lombardia snocciolava i dati circa le prime, di somministrazioni di AstraZeneca, sulle forze dell’ordine e la Puglia invece faceva i conti del suo primo giorno di iniezioni sugli over 80 (che, tornando al Lazio, sono invece iniziate già tre settimane fa). Come dire: manca una regia, e a ogni ora che passa il vuoto è più evidente. Col risultato di una disparità inaccettabile (quella che il commissario straordinario Domenico Arcuri aveva escluso all’inizio della campagna) e di una confusione che finisce con l’alimentare anche il fenomeno dell’antivaccinismo, messo a fuoco nelle ultime ore dall’Inail dopo il caso dei 15 operatori sanitari di Genova che il vaccino non l’hanno voluto, si sono contagiati e che ora non dovrebbero avere diritto alla copertura infortunistica (ma chissà come andrà a finire davvero).
Proprio il commissario Arcuri, d’altronde, nelle ultime due settimane è sparito dai radar dei punti stampa e degli appuntamenti pubblici, complice la crisi di governo e le numerose critiche ricevute dai leader della vecchia opposizione. Un’assenza che non contribuisce alla costruzione di una linea comune sul fronte dei vaccini e a cui si accompagna l’altalenante ritmo degli approvvigionamenti da parte di Big Pharma (delle dosi disponibili in ogni caso ne vengono usate solo il 75%), il dibattito spinosissimo sulla possibilità di acquistare vaccini in autonomia o addirittura di produrli e l’andamento della curva epidemica. Questa sì, senza alcun dubbio ormai, in fase di netto peggioramento: a confermarlo il Bollettino di ieri, che ha fatto registrare l’ennesimo, fittizio calo di casi (poco più di 9mila) ma anche di tamponi (170mila, di cui quasi la metà rapidi), col risultato che il tasso di positività è in salita al 5,6% e in salita, soprattutto, stanno ritornando i ricoveri (+24 in terapia intensiva, +351 nei reparti ordinari). I morti sono stati 274, contro i 232 di domenica. Chiudere soltanto, non basta più.