Fiale di vaccino contro il Covid - Reuters
Giù, giù, all’ultimo scalino della classifica, sta il Congo. Ottanta milioni di abitanti, appena 130mila vaccinati (di cui 96mila con una dose soltanto). Lo 0,1% della popolazione. Pensare che in Israele oltre tre milioni di persone hanno già ricevuto la terza, di dose. Potere dei vaccini, si dirà: chi più ne ha, più ne usa. E invece no: l’ultima beffa dell’«apartheid vaccinale», come l’ha definito senza mezzi termini un editoriale pubblicato sul British medical Journal quest’estate, sono le dosi da buttare. Scadute o in scadenza, perché inutilizzate da chi le aveva accumulate nei propri magazzini in barba ai calcoli e al destino del resto del mondo.
La denuncia è arrivata nelle ultime ore dalla società di analisi e informazione scientifica britannica Airfinity: oltre 100 milioni di dosi di vaccino antiCovid acquistate dai Paesi ricchi del mondo saranno inutilizzabili a fine anno (il 40% delle quali si trovano nell’Unione europea). Basterebbero per vaccinare in un colpo solo tutto il Congo e invece potrebbero finire in spazzatura, a meno che i leader globali non decidano di donarle alle nazioni più povere: un passo che, insieme alle donazioni già effettuate e a quelle previste per i prossimi mesi, permetterebbe di proteggere dal coronavirus il 70 per cento della popolazione nei Paesi a medio e basso reddito.
Ma serve passare dalle parole ai fatti, un abisso che nemmeno le buone intenzioni del programma internazionale Covax riescono a colmare. Un po’ per la partenza della (imprevista e imprevedibile fino a un paio di mesi fa) campagna di richiamo, un po’ per la paura di una recrudescenza improvvisa dell’epidemia. Così i numeri del divario vaccinale restano spietati: secondo il contatore di Our World in Data solo il 2% delle persone residenti nei Paesi poveri ha ricevuto almeno una dose, circostanza che non solo condanna a morte migliaia di esseri umani ma aumenta esponenzialmente il rischio che emergano nuove varianti del virus, capaci di aggirare gli stessi vaccini.
Ad alzare la voce, nelle ultime ore, non è tornato solo il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, che ha definito le disuguaglianze «un’oscenità». Secondo l’Alto rappresentante per la politica estera Ue, Josep Borrell, «nessuno è al sicuro finché non lo sono tutti. Il 16 settembre, il 31% della popolazione mondiale era completamente vaccinato. Nell’Ue è stato così per il 61% della popolazione adulta».
Un divario e una «linea di faglia» che rischia di dividere ancora di più il mondo e di penalizzare tutti quanti. Githinji Gitahi, ai vertici di Amref (la più grande onlus sanitaria in Africa) e commissario per la lotta al Covid dell’Unione Africana, denuncia che «nonostante l’obiettivo di immunizzare il 20% delle popolazioni di tutto il mondo entro la fine del 2021, chi avrebbe dovuto fornire vaccini all’Africa non l’ha fatto. Mentre i vaccini dei Paesi ricchi scadono, la nostra gente muore».
E secondo l’ex primo ministro britannico Gordon Brown l’eventualità che decine di milioni di dosi di vaccino vengano gettate via perché scadute «rappresenta una delle più grandi vergogne dell’Unione Europea e degli Stati Uniti, incapaci finora di garantire scorte adeguate anche alle nazioni a basso reddito». Anche perché il punto adesso non è più la carenza di vaccini: da inizio estate, sempre secondo il rapporto Airfinity, si producono circa 1,5 miliardi di dosi al mese (che arriveranno a 2 entro la fine dell’anno) ed entro dicembre dovrebbero esserci vaccini a sufficienza (12 miliardi di dosi) per tutta la popolazione mondiale di età superiore ai 12 anni.
L’accumulo, invece, continua: alla fine del 2021 Stati Uniti, Unione Europea, Canada e Regno Unito disporranno di un surplus di 1,2 miliardi di dosi, una stima che tiene conto persino dei vaccini necessari per somministrare la terza dose all’80% della popolazione over 12.
Proprio sulla terza dose ormai da settimane sta conducendo la sua battaglia – pressoché inascoltata – l’Organizzazione mondiale della sanità: secondo una revisione condotta da un gruppo internazionale di scienziati, fra cui anche esperti di Ginevra e dell’Agenzia del farmaco americana (Fda). non solo «gli studi attualmente disponibili non forniscono prove credibili di un sostanziale declino della protezione contro la malattia grave, che è l’obiettivo primario della vaccinazione», ma anche se alla fine la somministrazione di un booster potrebbe produrre un certo beneficio, «questo non supererà i vantaggi di fornire una protezione iniziale ai non vaccinati».
È il motivo per cui l’agenzia dell’Onu chiede una “moratoria globale” sulla terza dose, che potrebbe sì essere necessaria, ha spiegato il direttore generale Tedros Adhanom Ghebreyesus, «per le popolazioni più a rischio, dove ci siano evidenze di una riduzione dell’immunità contro la possibilità di sviluppare Covid grave e morte», ma non per tutti. La proposta è semplice allora: fermarsi coi richiami fino alla fine del 2021 per consentire a ogni Paese di vaccinare almeno il 40% della propria popolazione.