Acli
Diventare Acli in uscita, come la chiesa di Francesco, alleati con le parrocchie soprattutto nelle periferie urbane per affrontarle la pandemia sociale. È la sfida che vuole raccogliere il nuovo presidente delle Associazioni dei lavoratori cristiani Emiliano Manfredonia, classe 1975, sposato e padre di un ragazzo di 13 anni. Pisano e primo toscano a guidare le Acli, uomo dei territori, si sente un 'presidente di strada' ed è molto legato ai due vescovi Plotti e Benotto e a preti 'sociali' come don Antonio Cecconi, già vice direttore di Caritas italiana, e don Armando Zappolini del Cnca. Il successore di Roberto Rossini, eletto in un congresso on-line, professionalmente proviene dall’imprenditoria sociale e dalla cooperazione ed era il vicepresidentee responsabile del Patronato.
La priorità da cui partirà?
Chiedere fortemente al governo di riaprire i circoli perché, pur rendendoci conto della pandemia, siamo chiusi da ottobre e almeno nelle zone gialle con tutti i controlli del caso possiamo essere parificati agli altri esercizi. Vogliamo tornare ad animare le nostre comunità specie nei paesi e nelle frazioni. I territori vogliono vivere e attivarsi e i circoli Acli sono i luoghi dove nella frugalità ci si incontra e si possono leggere i contesti, le fragilità e fare quel passaparola sano che sorregge e fa crescere la comunità legando le generazioni
Secondo punto in agenda?
Mettere al centro il lavoro, anzitutto quello fragile che è stato spazzato via dal Covid. E poi il lavoro buono, che stenta ad arrivare. Siamo preoccupati per i rischi che corrono soprattutto i giovani che hanno meno occasioni. Il flagello dei 'neet' che non lavorano né studiano sta condannando un’intera generazione all'apatia.
Emiliano Manfredonia - .
Quale allarme sociale preoccupa i territori?
La legalità, perché le mafie stanno approfittando della pandemia e stanno mettendo le mani su centri commerciali, imprese e attività che hanno bisogno di denaro per sostenersi. E il rischio grande che la mafia faccia da banca con i prestiti a usura in Italia c’è e ci preoccupa anche per il futuro.
Che Italia si è rivolta agli sportelli dei patronati aclisti in quest’anno?
Abbiamo svolto una grande attività di sostegno al reddito. Quest’anno il nostro sito ha avuto 3.400.000 contatti unici di persone che hanno chiesto informazioni sul reddito di emergenza o di cittadinanza. Abbiamo toccato con mano le disfunzioni e i ritardi dei pagamenti e il disagio sociale esistente che può esplodere da un momento all’altro. Per questo chiediamo un rinvio dello stop ai licenziamenti.
Sono sufficienti gli strumenti di contrasto alla povertà?
No, ad esempio il reddito di cittadinanza calato nella realtà non riesce a incrociare la richiesta e il bisogno di lavoro. Vogliamo chiedere al governo Draghi di fare un tagliando al reddito di cittadinanza. Avevamo già proposto il reddito di inclusione sociale che ritenevamo una risposta importante. Non vanno buttate via le cose buone fatte, ma bisogna aiutare le persone effettivamente colpite dalla povertà. Penso ad esempio agli immigrati che vivono in Italia da anni e che hanno un lavoro precario, le famiglie con figli e quelle con persone disabili.
Cosa propongono le Acli per rinnovare la politica in crisi?
Di ripartire dalla riforma della Costituzione partendo dalla forma dei partiti, che devono rappresentarci concentrandosi meno sull’immediato e pensare al futuro delle giovani generazioni. Serve un’impostazione completamente diversa che non punti solo al consenso immediato. Anche dei corpi intermedi hanno delle responsabilità in questo periodo di crisi della politica. Ad esempio i social non vanno demonizzati perché hanno un potenziale importante, ma occorre valorizzarli come strumento di dialogo e partecipazione.
E nella Chiesa italiana che ruolo vogliono avere le Acli?
Dobbiamo tornare a far conoscere il carisma aclista in parrocchia con proposte associative che educano alla responsabilità e a una visione del mondo che comprende la carità e la politica. Soprattutto nelle periferie delle grandi città siamo un po’ scollegati e rischiamo di non esserci più. Dobbiamo diventare Acli in uscita, come la chiesa che vuole papa Francesco.