giovedì 5 aprile 2012
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​I brutti sogni dei bambini, di tutti i bambini, sono popolati di tigri e serpenti, di mummie e di mostri. In quelli dei bimbi aquilani appaiono anche case storte, che rovinano su se stesse, crepe che si allargano, spesso sono gli stessi protagonisti dei sogni a crollare: cadono da quelle case, precipitano da edifici altissimi e lo fanno senza mai toccare terra. I disegni che ricostruiscono questi sogni sembrano lo storyboard di una paura infinita. Li ha studiati l’Università dell’Aquila nell’ambito del progetto At.Ab, finanziato dalla Protezione civile e i risultati della ricerca, coordinata da Lorena Mattei, sotto la direzione scientifica di Enzo Sechi, primario di Neuropsichiatria Infantile all’Ospedale San Salvatore, saranno presentati nel corso di un congresso internazionale, l’anno prossimo. «I bambini costituiscono una popolazione ad alto rischio per lo sviluppo di sintomatologie post-traumatiche da stress - spiega Sechi, anticipando i risultati del lavoro, che ha comportato anche  l’analisi di centinaia di disegni e racconti -. Il disturbo post-traumatico da stress è una condizione clinica ma anche la risposta principale dei minori all’esposizione ad eventi catastrofici. Aver vissuto un’esperienza come quella di L’Aquila può condurre a modificare le aspettative sul mondo, il senso di integrità personale, la sicurezza e la stabilità delle relazioni interpersonale...» Può portare cioè a problemi psicosomatici, a viziare le relazioni personali, all’ansia e alla depressione, «a compromettere lo sviluppo psicologico e comportamentale», ammette il medico. La realtà è quella che si è sempre temuta: il terremoto di L’Aquila lascia dietro di sè una generazione ferita nella psiche. In base alla ricerca su un campione di 1500 minori e un gruppo di famiglie, il 3% dei bambini aquilani presenta disturbi post traumatici da stress strutturati, il 18% un disagio psicologico "consistente", che colpisce soprattutto le bambine, e più generalmente il 73% evidenzia problemi di ordine psicologico: un quarto di questi casi presenta un vero e proprio disturbo psichiatrico, mentre gli altri restano a rischio.Nei sogni di questi bambini, spiega il professor Sechi, «è molto frequente l’idea di una minaccia alla propria incolumità fisica o dei propri cari, la paura di morire o di essere abbandonati dai genitori, sintomo del disagio psicologico post-trauma: i minori hanno vissuto in prima persona il pericolo e l’idea-timore della morte viene continuamente presentata, ricordata e "riflessa" dalla città lesionata o distrutta». Diana, 11 anni, racconta che un esorcista che uccide tutti i suoi familiari. Valentino, stessa età, sogna di restare orfano e di essere adottato da una famiglia che non lo fa studiare. Francesca sembra fare un bel sogno, il fidanzamento con un coetaneo, poi scopre però che lui è un’altra persona, "bruttissima"...Anche gli adulti continuano a vivere l’incubo del sisma. Massimo Casacchia, professore universitario e primario di psichiatria del San Salvatore, nell’ambito del Progetto Spes di Ministero della Salute e Regione Abruzzo, ha tracciato lo stato di salute mentale della popolazione aquilana, compresi gli abitanti delle new town berlusconiane. Gli studi dimostrano che, a insidiare la psiche degli aquilani non è tanto o soltanto la paura delle scosse e dei crolli, quanto «il modo in cui vivono le persone, le speranze disattese, il timore per il futuro, in un contesto di vita deprivato, lontano dal centro città». Il primario definisce «psicopatogenetico» lo «spiazzamento forzato» di chi è stato costretto ad abitare in una città in cui sono saltati tutti i punti di riferimento e soprattutto di coloro che vivono nei 19 centri satelliti del progetto Case. La depressione è più elevata (i casi più gravi sono circa il quadruplo) e la sedentarietà quasi raddoppiata. «L’Aquila è un formicaio di automobili perchè non esiste un centro. Chi non lavora o non guida è preda della solitudine e della tristezza». Una condizione prevalente nelle newtown, dove il 70% si sente isolato e prova nostalgia della sua vecchia casa, quasi la metà ha perso i contatti con gli amici e solo il 20% nutre speranze nel futuro. «Una forma di reazione, che chiamiamo “resilienza” - spiega lo psichiatra - è la protesta via web. Quasi un’elaborazione del lutto, perché è come se fosse morta la propria vita di prima, avviene raccontando e raccontandosi su internet». In questi tre anni sono stati postati più di ottomila video dagli aquilani, scritti una settantina di libri e Facebook è diventata “la piazza” in cui incontrarsi e la Spoon River virtuale dove ricordare com’era bella la città delle 99 cannelle e protestare contro la ricostruzione che non parte.
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