Giorgia Meloni parla a Montecitorio con l'ex presidente della Camera, Fausto Bertinotti - ANSA
Si è limitata semplicemente a dire la verità ieri, Giorgia Meloni, nel parlare di «squadristi fascisti». Eppure un passo avanti c’è e sarebbe ingiusto non sottolinearlo, in questo Paese che ha sempre problemi a confrontarsi con la memoria storica e il passato, da qualsiasi punto di vista lo si guardi.
Certo, qualcuno potrà obiettare che era troppo difficile “svicolare” da una commemora-zione alla Camera, con al fianco il capo dello Stato, Mattarella. Soprattutto davanti a una figura splendida come quella del deputato socialista del Polesine, «uno dei padri della democrazia» (come è stato ricordato nelle parole di Luciano Violante), la voce più coraggiosa di tutte nel capire fra i primi e nell’opporsi con energia alla violenza crescente di quel regime, un coraggio che pagò con quel sacrificio a cui dobbiamo le basi della nostra libertà da italiani.
Attesa a ogni data-chiave del Paese, con tutti pronti a misurare col bilancino il peso delle sue parole, come il 25 aprile (quando ricordò che «la fine del fascismo pose le basi per il ritorno della democrazia»), il capo del governo stavolta ha usato parole nette, finalmente. Le ha mescolate a quel riferimento, che Matteotti ci ricorda, al «valore della libertà di parola e di pensiero contro chi vorrebbe arrogarsi il diritto di stabilire cosa è consentito dire e pensare e cosa no».
Frase che qualcuno ha letto come un accenno a chi tende a dare “patenti” perché, in realtà, per uno di destra oggi sarebbe più arduo essere censurato che censurare. Al di là delle sfuma-ture, però, contano i fatti. Come l’incontro chiesto a Meloni dalla nipote Elena. Farlo il 10 giugno sarebbe un degno suggello.