martedì 22 novembre 2022
Parla la giudice della Corte di Cassazione, Paola Di Nicola Travaglini: «Formazione obbligatoria per magistrati e insegnanti. E occorre agire sull’immaginario maschile»
«Un codice unico contro le violenze»
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Giudice della Corte di Cassazione, consulente giuridica della commissione parlamentare sul femminicidio e autrice di diversi libri sul tema, Paola Di Nicola Travaglini è una delle voci più esperte e impegnate nel campo del contrasto alla violenza di genere. Tracciamo insieme a lei un bilancio in occasione della Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne che si celebra ogni anno il 25 novembre.

In Italia esistono diverse norme per tutelare le donne dalla violenza, ma i reati sono ancora tanti. Cosa manca nel sistema normativo?
Il nostro è tra i migliori in Europa. Il suo limite riguarda però la violenza domestica che, seppur molto diffusa, è priva di una definizione specifica. Abbiamo solo un articolo del Codice penale del 1930 che genericamente punisce chi «maltratta una persona della famiglia…» lasciando alla libera interpretazione stabilire cosa sia un maltrattamento. Questa norma non è adeguata a qualificare un fenomeno culturale molto complesso, che incide sull’identità, paragonabile alla mafia e che non si può contrastare soltanto con il termine “maltrattare”. Inoltre, a livello internazionale la Convenzione di Istanbul ratificata dall’Italia nel 2013, rivoluzionaria dal punto di vista giuridico, resta sostanzialmente inapplicata.

Quali dovrebbero essere secondo lei i prossimi passi da fare?
Sarebbe importante avere un codice unico sulla violenza contro le donne che metta ordine tra le norme. Inoltre, dovremmo introdurre una formazione obbligatoria per i magistrati, le forze di polizia e tutti gli insegnanti.

Dal punto di vista culturale il problema della violenza contro le donne è sempre più sentito e affrontato, ma questo non sembra sufficiente per arginarlo. Come mai?
Occorre fare più formazione sui pregiudizi culturali, alla radice della violenza, che considerano le donne fragili, deboli, empatiche, vocate alla cura. Poi ci sono gli stereotipi sugli uomini, che li dipingono come necessariamente coraggiosi, arroganti, sfrenati dal punto di vista sessuale. In generale, c’è una errata rappresentazione sociale del maschile e del femminile. Basta accendere la televisione per vedere ancora vallette svestite accanto a uomini in giacca e cravatta. I pregiudizi sono la prima causa della violenza.

Cosa si sta facendo per aiutare gli uomini a non essere violenti?
Gli uomini devono prendere parola su tutto questo. Troppo pochi lo fanno, anche perché è difficile rinunciare alle posizioni di potere in famiglia e nel lavoro. Inoltre, dobbiamo costruire un nuovo immaginario maschile, in cui l’uomo è dedito alla cura, capace di accettare il limite e ritiene la fragilità umana un valore. Oggi l’immaginario maschile ruota ancora intorno al predominio, all’uomo cacciatore, a una virilità e a una sessualità tossica.

Le nuove generazioni sembrano più consapevoli. È d’accordo?
I giovani hanno fatto passi avanti, ma andando nelle scuole mi sono resa conto che nella relazione di coppia si continua a credere che le femmine siano corpo, che devono piacere, e spesso questi rapporti si fondano sul possesso. Ci sono nuovi fenomeni legati al digitale. Ad esempio, ho visto moltissimi casi di ragazze che accettano di essere monitorate dai fidanzatini tramite le app di controllo. È come un guinzaglio invisibile. Tramite la tecnologia stiamo crescendo una generazione di donne che pensano che il controllo sia una forma di manifestazione del sentimento. Non a caso sono in aumento le violenze verso le giovanissime da parte dei loro fidanzati.

A proposito di giovani, lei ha emesso una sentenza rivoluzionaria su un noto caso di prostituzione minorile che coinvolse professionisti della “Roma bene”. Ci può spiegare?
I protagonisti erano due ragazzine e un uomo più grande di loro di 30 anni. Risarcirle con il denaro avrebbe replicato la modalità usata da colui che aveva abusato di loro. Con uno sforzo interpretativo non da poco, ma corretto dal punto di vista giuridico, decisi che l’uomo avrebbe risarcito il danno donando alle ragazze 20 libri sulla storia e sull’intelligenza femminile, insieme ad alcuni film sulla storia delle donne. Volevo che lui capisse che quelle ragazzine non si potevano comprare, perché erano figlie di una cultura millenaria. La prostituzione non è il mestiere più antico del mondo: le donne hanno creato l’agricoltura e la scrittura, il nostro nutrimento materiale e culturale.

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