Ilaria Salis ammanettata a incatenata in tribunale a Budapest - Reuters
Rivedere ancora, dopo le crude immagini di fine gennaio, l’ingresso di Ilaria Salis in ceppi, tirata al guinzaglio come un animale nel tribunale di Budapest è qualcosa che non può lasciare indifferenti, quali che siano i capi d’imputazione o la “pericolosità” attribuita dai giudici magiari a una signora lombarda di 39 anni. Di più: il fatto che tale scena avvenga in uno Stato aderente all’Ue (e che pur condividendone i principi fondanti, non è nuovo a censure per violazioni dei diritti umani), inquieta e lascia l’amaro in bocca, tanto da spingere il padre Roberto ad un appello accorato al Quirinale.
Ciò detto, però, non si può non riservare alcune considerazioni rispetto all’eccesso, attorno al caso Salis, di una «politicizzazione», per dirla col vicepremier italiano Antonio Tajani, che non aiuta e anzi fomenta un contesto ambientale che potrebbe incidere, se non lo sta già facendo, sui risvolti giudiziari.
Intanto, sul piano estero, il primo ad aver politicizzato la vicenda pare essere proprio l’esecutivo guidato dal premier ungherese Viktor Orban. A dispetto delle assicurazioni alla premier Giorgia Meloni di un suo impegno personale per un «equo trattamento», l’impressione è che il pugno duro dei giudici faccia comodo pure a Orban per almeno tre ragioni: tenersi buone, a fini interni, le destre locali; mandare un segnale alle sinistre europee; e disporre di una carta, rispetto al governo di Roma, nelle trattative post voto europeo sulla formazione di maggioranza e Commissione.
Sul versante nostrano, poi, da mesi l’affare Salis è terreno di scontro fra maggioranza e opposizioni. Prima gli affondi del vicepremier Matteo Salvini sulla «maestra elementare che gira per l’Europa a picchiare la gente».
Quindi, ieri, le voci su un’ipotesi di candidatura di Salis nelle liste europee del Pd. Una mossa che accenderebbe un riflettore sulla sua condizione, ma che di converso potrebbe inasprire il clima attorno al processo, collocando l’insegnante lombarda in una parte politica e sancendone la “divisività”, agli occhi non solo del centrodestra italiano, ma soprattutto del governo Orban. È ciò che la Farnesina prova a a dire fra le righe, paventando ulteriori complicazioni, appunto, politiche nella trattativa con Budapest, che Meloni porta avanti in silenzio e che è già complicata di suo.