Ola, nigeriano, 11 anni appena, rapito e venduto dopo l’uccisione dei genitori in Libia. È il terribile sospetto dei volontari della Comunità Papa Giovanni XIII che lo ospita dopo lo sbarco sabato scorso nel porto di Reggio Calabria. Giunto in Italia grazie alla nave della Ong Sea Watch 3, ora è nell’unico centro per minori non accompagnati della provincia, dopo la chiusura degli altri perché si è ritenuta terminata l’emergenza. «Era in Libia da un anno coi genitori. Bloccati, non riuscivano a partire – ci spiega Giovanni Fortugno, referente ambito immigrazione della Comunità –. Erano a Misurata. Dobbiamo capire cosa è successo ai genitori. Lui dice che sa che sono morti perché glielo hanno detto.
Non si capisce per quale motivo. Comunque non li vede da mesi ». Una storia con molti interrogativi. «Lo ha preso sotto protezione un gambiano e questo mi lascia alcuni sospetti. Dalla nostra esperienza, da quello che ci dicono, sembra che i gambiani facciano un po’ da kapò. Lo appureremo nei prossimi giorni. Assieme alla Questura cercheremo di capire. Ola non sa chi gli ha pagato il viaggio, dice solo che si è occupato di lui lo 'zio', così chiama il gambiano. Ma nessuno fa niente per niente in Libia». E i sospetti sono concreti. «Il gambiano lo ha messo sul barcone e lo ha lasciato – racconta ancora Giovanni –. Ha viaggiato da solo. Aveva dei numeri di riferimento libici che probabilmente lo avrebbero poi messo in contatto con qualcuno in Italia. Ho il sospetto che questo ragazzino sia stato rapito e venduto. È piccolino, lo puoi vendere per qualsiasi cosa».
Ora tocca ai volontari calabresi prendersi cura di lui. «L’ho ascoltato, si trova in una condizione particolare, di choc. Nei prossimi giorni appena si rasserena e si tranquillizza lo aiuteremo a ricordare. Intanto abbiamo fatto tutti gli accertamenti sanitari, aspettiamo gli esiti delle analisi ma sembra stare bene. È solo un po’ de- nutrito, ma questi bambini si riprendono rapidamente come abbiamo già visto nel passato ». Certo il suo futuro non sarà facile.
«È solo, non ha fratelli. Ha delle persone amiche di riferimento in Nigeria. Li abbiamo chiamati e informati e abbiamo chiesto conferma sul fatto che lui fosse andato in Libia coi genitori. Ce lo hanno confermato. Abbiamo parlato noi e poi anche lui e, quando lo hanno sentito, si sono messi a urlare e piangere. Quindi ora abbiamo la certezza che è solo al mondo». Per un altro bimbo, di appena 2 anni, si sta faticosamente ricostruendo una famiglia. Yussuf, ivoriano, è arrivato sette mesi fa. «La mamma è morta nel naufragio del 4 novembre quando morirono 26 donne. Otto cadaveri vennero portati a Reggio Calabria, tra questi la mamma del bambino».
Una condizione drammatica, ma non ci si è arresi. «Tramite 'Radio popolo immigrato' sono riuscito a rintracciare il padre in Francia dove gli era stata negata due volte la richiesta d’asilo. L’abbiamo fatto venire in Italia, in accordo con la Procura per i minori e abbiamo iniziato un percorso, un training per il ricongiungimento». Un percorso non facile. Infatti quando il papà era partito aveva il bimbo aveva solo 4 mesi. Cosa poteva ricordare? E invece «il bambino quasi in modo naturale si è legato subito a questo papà, cosa che non ha fatto con altre persone. Il papà è in un Cas, ha fatto richiesta d’asilo. Ora vedremo se riuscirà a fare da papà e da mamma. Questa è la parte più difficile. Si deve mettere in discussione».
Ma le speranze di una riuscita sono tante. Per Yussuf come per altri quattro ragazzini giunti con lui, erano caduti in mare, uno con le gambe ustionate. E tanti si impegnano per un lieto fine. «Vorrei dire al ministro Salvini che non stiamo certo a girarci i pollici – sottolinea Giovanni –. Ci sono realtà che si impegnano. E i famosi 35 euro che ci danno non sono guadagnati ma spesi per loro. Nel progetto diocesano abbiamo seguito in un anno più di trecento minori...»