venerdì 8 giugno 2012
COMMENTA E CONDIVIDI
​«È meglio salvarsi, che rimanere in un posto spaccato a metà». «Ed è meglio prendere un camper o una tenda, che stare dentro dove tutto si è rotto». «La morte non serve, bisogna vivere al sicuro»... Non sarebbero discorsi da bambini, ma di questo parlano, seri, i piccoli di Bondeno (una delle zone più devastate fin dalla prima scossa del 20 maggio scorso), non appena si ritrovano nel cortile della casa-famiglia dell’Associazione “Papa Giovanni XXIII” di don Benzi, aperta nel 2005 da Irene e Mauro Tuzza. Non giocano a fare i grandi, lo sono diventati: la notte in cui «è venuto giù il cielo e la terra è salita».Come ogni giorno, dalle tendopoli in cui dormono, le loro mamme li hanno portati alla casa-famiglia di Irene e Mauro, punto di raccolta da cui poi i pulmini li condurranno al campo sportivo di Scortichino per giocare, studiare, stare insieme, insomma, «vincere le paure». Come in ogni terremoto, infatti, i più immuni allo stress sembrano proprio i più piccoli, capaci di vivere tutto come un gioco, anche quel coabitare sotto le tende, goduto come un’immensa avventura o caccia al tesoro; ma poi alla lunga, se non sono state gestite in tempo, le paure riaffioreranno.«Così ogni mattina e ogni pomeriggio su incarico del Comune facciamo animazione a settanta piccolini dai 4 anni in su nel campo di Scortichino e ad altri quaranta nel campo di Pilastri – raccontano Irene e Mauro –, con l’aiuto dei ragazzi della parrocchia e del liceo scientifico “Roiti” di Ferrara», che dal 29 maggio, giorno della seconda scossa mortale, hanno concluso l’anno scolastico, con dieci giorni d’anticipo.Si dice che tutto il bene fatto prima o poi torna al mittente, e allora non è un caso se tre anni fa i due giovani sposi si erano “fatti le ossa” con altre centinaia di bambini terremotati, un’esperienza oggi preziosa: «Nel 2009 siamo andati per mesi come volontari nella tendopoli di Piazza d’Armi, all’Aquila, e abbiamo utilizzato la fiaba del Mago di Oz, perché lavora proprio sulle paure».Dorothy, la protagonista della fiaba, è infatti una bambina la cui casa viene spazzata via da un tornado. Nel cammino per ritrovarla, incontra lo spaventapasseri senza cervello, l’uomo di latta senza cuore e il leone senza coraggio, ma il lieto fine prevede che la bimba ritorni nella sua casa e i tre amici trovino cervello, cuore e coraggio dentro di loro, senza bisogno di magia.«Finché la casa non c’è, però, vanno bene tende e camper – ritiene Beatrice, 5 anni, figlia di Irene e Mauro –, ma preferisco i container. Avevo tre anni quando all’Aquila dormivamo lì dentro, col sacco a pelo. Comunque le case è meglio farle in legno, oppure in cemento armato come la nostra, che è rimasta intera».Non così la chiesa di Sant’Antonio lì a fianco. I bambini giocano intorno alla grande croce di ferro precipitata dal tetto insieme ai begli ornamenti in cotto e alle torrette. È la stessa chiesa in cui Irene e Mauro si sono sposati ed ora è circondata dal nastro bianco e rosso dei vigili del fuoco, come quasi tutte le chiese del circondario. «L’epicentro era qui a 7 chilometri da noi. L’unica cosa rimasta in piedi al suo interno è proprio la statua di sant’Antonio, poi evacuata dai pompieri e dal nostro parroco, don Roberto Antonelli», che subito ha preso in mano le sorti della sua comunità e da allora è costante punto di riferimento per ciascuno.Altra costante dei terremoti, poi, è la riscoperta di valori spesso dimenticati, come il bisogno di offrire solidarietà: «Qui tra i nostri volontari abbiamo i ragazzi di una comunità terapeutica di Ferrara, che aiutando gli altri ritrovano se stessi», aggiunge Mauro. «All’Aquila ci avevano affidato tossicodipendenti, alcolizzati, ma anche disabili o anziani soli...». Secondo l’insegnamento più bello lasciato da don Benzi: Quando vi chiedono dov’è il vostro domicilio, voi rispondete: il nostro domicilio è tra i più bisognosi… E tra i più bisognosi, siate tra i più bisognosi ancora, là in fondo..Una lezione che Beatrice oggi traduce in parole più grandi di lei: «La sera, quando con mamma e papà entriamo in tenda per dormire, penso alle persone che hanno sofferto per tutte le cose che non hanno potuto salutare prima di andarsene da casa». Alcune hanno scelto di rizzare lì la loro tenda, nel suo giardino, in una tendopoli spontanea nata attorno alla sua grande famiglia. Nella quale insieme a lei vivono una “sorella” nigeriana di 17 anni, una italiana di 23 affidata dai servizi sociali territoriali, tre ragazzi che fanno un “percorso di rafforzamento di sé” e dal 2005 tutti i giorni un mare di bambini trovano chi li porta a scuola all’alba, li riprende il pomeriggio, li fa studiare, grazie a un progetto di sostegno alle famiglie dei lavoratori.È ormai sera. Irene fa rientro da Scortichino con i pensierini scritti dai settanta bimbi nel pomeriggio. «Sono contenta perché il mio papà mi ha liberato dall’armadio. Gli voglio tanto bene!», firma Alessia, 4^ elementare. «La notte del terremoto in casa è caduto tutto per terra. Anche uno specchio molto grosso. Per fortuna mamma e papà mi hanno salvato. Mi sono sempre vicini», Francesco, 11 anni. Quando viene la notte, però, la paura ritorna anche in tenda, irrazionale, ingestibile, e allora «io vorrei essere come il leone della Casa di Oz e avere tanto coraggio», ammette Gian Paolo. Giada, 7 anni, ha trovato la formula, che non è magia ma sa darle sicurezza: «Tutti i giorni preghiamo nel momento del grazie per non avere paura, Gesù è sempre con noi».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: