mercoledì 24 ottobre 2012
COMMENTA E CONDIVIDI
Tutto torna, a nord di Napoli e a sud di Caserta, sempre, tragicamente e da molto, molto tempo. E chiunque (lo) sa: la gente, gli esperti, i medici. Qualcuno solamente finge di non sapere che la situazione lì è forse anche peggiore di quella intorno all’Ilva di Taranto. Come, ormai, raccontano più o meno esplicitamente tanti riscontri scientifici.L’altro ieri ad esempio si è saputo dal ministero della Salute che, nel periodo novembre-dicembre 2010, i livelli di diossina e di Policlorobifenili riscontrati nel sangue di una cinquantina di allevatori di masserie nelle vicinanze dell’Ilva sono «consistentemente più elevati di quelli osservati a distanze maggiori». Bene, nel 2007 una decina di volontari di Acerra, Castel Volturno, Nola e Napoli sottoposero il loro sangue alle stesse analisi, che vennero effettuate presso due laboratori internazionalmente accreditati, il "Consorzio interuniversitario nazionale La chimica per l’ambiente" di Marghera e il "Pacific rim laboratories" di Surrey, in Canada.I risultati furono sconcertanti: la concentrazione di diossina presente era talmente alta che se fossero stati capi di bestiame, anziché esseri umani, la legge ne avrebbe disposto l’immediato abbattimento. In realtà per uno di loro, un allevatore di Nola, neppure sarebbe servito, visto che poi morì di tumore fulminante poco dopo il prelievo. Studi esplorativi e non a carattere epidemiologico, certo, sia quello recente intorno all’Ilva che questo del 2007. Però entrambi autorevolmente indicativi.Non a caso i prelievi sugli allevatori delle masserie tarantine fanno parte del "Progetto Sentieri" ("Studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio da inquinamento"), finanziato dal ministero della Salute, che ha valutato la situazione in 44 dei 57 "Siti di interesse nazionale per le bonifiche", cioè i più inquinati d’Italia. Fra i quali c’è il "Litorale domizio flegreo e l’agro aversano" e ci sono le "Aree del litorale vesuviano", ottantotto comuni che messi insieme contano un milione e 880mila abitanti.Per tutti e due questi "Siti d’interesse nazionale" (Sin) si legge chiara e tonda la premessa che apre le conclusioni: «Occorre tenere conto di un problema specifico, il Sin è caratterizzato, oltre che da numerose discariche, anche dalla presenza di siti di smaltimento illegale e di combustione di rifiuti sia urbani sia pericolosi». E per tutti e due i siti anche la raccomandazione, nero su bianco, è la stessa: effettuare «studi per la valutazione dell’inquinamento ambientale presente nell’area».A proposito, quanto al Sin di Taranto (cioè due comuni e un po’ meno di 300mila persone), nello stesso "Progetto Sentieri" è invece scritto che «gli incrementi di rischio osservati sono riferibili a esposizioni professionali a sostanze chimiche utilizzate e/o emesse nei processi produttivi presenti nell’area. Il fatto che gli stessi inquinanti siano riscontrati anche nell’ambiente di vita, a concentrazioni spesso rilevanti, depone anche a favore di una componente ambientale non trascurabile».La nuova ricerca, infine. Che sembra indirettamente confermare i dati dell’Istituto nazionale dei tumori "Pascale" di Napoli, che Avvenire anticipò lo scorso 17 luglio: negli ultimi venti anni «in provincia di Napoli (città esclusa, ndr) si sono avuti incrementi percentuali del tasso di mortalità per tumori del 47% fra gli uomini e del 40% tra le donne, incrementi rispettivamente del 28,4% e del 32,7% anche in provincia di Caserta. Dunque Napoli città era fuori da quei numeri. Adesso uno studio realizzato dall’Angir (l’"Associazione napoletana giovani ricercatori") racconta come dal 2001 al 2010 siano soltanto alcuni quartieri a nord della città, nella settima e soprattutto nell’ottava municipalità, ad avere tassi di mortalità oncologica più alti e in crescita. «Nella settima ci sono tassi più elevati e trend stabile» e parliamo di Miano, Secondigliano, S. Pietro a Patierno. «Nell’ottava i tassi sono più elevati e il trend in crescita», cioè a Piscinola, Marianella, Chiaiano, Scampia.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: