Uno dei rilievi principali mossi da Cgil e Uil per motivare lo sciopero è la scarsa incisività della manovra e del taglio fiscale nel «redistribuire ricchezza». È davvero così? Al governo e negli uffici tecnici di ministeri e partiti ci si affanna a spiegare di no.
Per dimostrare che la riforma dell’Irpef tratteggia invece tutt’altra realtà, ieri sono state diffuse delle cifre riepilogative: secondo la maggioranza, l’intervento predisposto nel confronto prima con i partiti e poi con i sindacati vale un taglio delle tasse del 10% per le pensioni minori, che arriva al 24% per i dipendenti con redditi più bassi, fino ai 20mila euro lordi.
Ai pensionati va comunque un terzo (il 33%, circa 2,3 miliardi) dei 7 miliardi disponibili, mentre il 60% (circa 4,3 miliardi) va ai lavoratori dipendenti. I calcoli precisi sono ancora in via di definizione, anche perché ci sono vari fattori che vanno considerati. All’effetto della revisione degli scaglioni di reddito e delle detrazioni si somma infatti, almeno per il 2022, quello dello sconto contributivo dello 0,8% (per il quale sono stati stanziati 1,5 miliardi che si risparmiano solo il primo anno, per via del 'gioco' degli acconti).
La conclusione è che un dipendente tra gli 8 e i 20mila euro dovrebbe risparmiare solo con le aliquote ridotte 193 euro l’anno (195 per un pensionato fino a 20mila euro). C’è poi il beneficio della riduzione contributiva: secondo delle tabelle elaborate da Il Sole-24 ore, il guadagno potenziale massimo (in percentuale) può arrivare fino a 409 euro in più l’anno, nel caso di un lavoratore con una retribuzione di 17.250 euro lordi: una somma pari a 34 euro in più al mese in 'busta-paga'. Certo, già nella fascia 20-25mila euro il vantaggio economico si riduce dal 24% solo al 4,3% (3,6% per i pensionati), per poi risalire fino a un massimo del 7,5% in più a 45mila euro di reddito (va tenuto conto che sopra i 38mila euro decade la decontribuzione) e contrarsi all’1,9% nella fascia 65-75mila. Sono cifre che, in effetti, sembrano smontare la versione di Cgil e Uil, per le quali la manovra farebbe poco o nulla per i più poveri. Posizione, questa, che ha portato i due sindacati a indire lo sciopero generale per il prossimo 16 dicembre.
Per rintuzzare le tesi delle sigle guidate da Maurizio Landini e Pierpaolo Bombardieri è intervenuto anche Luigi Marattin. Il presidente (di Italia Viva) della commissione Finanze della Camera, alle prese in queste settimane con l’esame della delega fiscale, ha scritto sui social un lungo post, in 14 punti, per confutare la linea di Cgil e Uil. Pur senza intervenire sul punto di merito dello sciopero generale perché, spiega, «non spetta alla politica dire se è giusto o ingiusto. Lo sciopero è un diritto costituzionale che va rispettato, se esercitato entro i limiti prescritti dalla legge, poi certo ogni lavoratore dovrà valutare la situazione con la propria testa sulla base dei numeri che sono meno sexy degli slogan».
Marattin ricorda in premessa che al calo dell’Irpef vanno 7 sugli 8 miliardi disponibili in manovra al capitolo Fisco, cioè l’87,5%; e anche che dei fondi destinati nello specifico a ridurre l’imposta sulle persone fisiche «il 95% - 6,6 miliardi su 7 - vengono destinati a lavoratori dipendenti e pensionati», come chiedevano le sigle sindacali. In più il responsabile economico renziano spiega che «il 90% delle risorse Irpef viene destinato ai primi tre scaglioni di reddito, quindi ai contribuenti sotto i 55 mila euro annui».
È vero, aggiunge, che al primo scaglione, quello dei contribuenti sotto i 15mila euro annui, va soltanto «il 16% delle risorse» totali; ma va pure ricordato che «nel primo scaglione ci sono circa 17 milioni di contribuenti» e che, di questi, «10 milioni non pagano neanche un euro di Irpef, e tutti i 17 mediamente pagano 27,78 euro al mese». Oltre all’Irpef, peraltro, ricorda Marattin, «si è deciso di impiegare per il 2022 un ulteriore miliardo e mezzo per ridurre dal 9,19% al 8,39% il cuneo contributivo per i lavoratori», e intervenire sul cuneo era proprio una delle richieste dei sindacati. Infine, non sarebbe del tutto vera l’obiezione di Landini che chi guadagna 60mila euro lordi abbia un beneficio superiore di oltre 6 volte rispetto a uno con 20mila: i numeri sarebbero invece 559,8 euro l’anno nel primo caso contro quasi 200 (193) nel secondo, sempre senza contare lo sgravio sui contributi. © RIPRODUZIONE RISERVATA