Non si tratta dei provvedimenti annunciati da Renzi nell’ambito della
spending review, che dovrebbero essere più severi, ma la direzione è quella: la riduzione dei compensi dei manager nella aziende controllate dallo Stato. Dal primo aprile entra in vigore il decreto firmato dall’ex ministro Fabrizio Saccomanni relativo ai compensi di vertice in una ventina società non quotate e direttamente controllate dal Tesoro, tra cui la Rai, l’Anas, il Coni per citare le più note. Il provvedimento, spiega il ministero dell’Economia, classifica le aziende in tre fasce di complessità e «impone l’immediato adeguamento» ai nuovi limiti dei compensi degli amministratori indicati. Il tetto massimo è di 311 mila euro lordi annui, comprensivo di tutto gli emolumenti. La «tagliola» non riguarda invece i big quotati in Borsa o sui mercati come Eni Enel e Poste.In una logica di riduzione di spesa si muove anche il ministero dell’Interno. Ieri Angelino Alfano ha annunciato una stretta sulle scorte per «evitare sprechi di risorse umane e finanziarie», assicurando comunque «adeguata protezione». Il ministro ha inviato a tutti i prefetti una direttiva per chiedere di rivalutare le procedure, operative e organizzative, del sistema di protezione, che oggi impegna circa 3.000 uomini a protezione di circa 500 personalità.Tornando ai nuovi tetti di stipendio per le aziende pubbliche, nella fascia più alta stanno Anas, Rai e Invimit: le retribuzioni dell’amministratore delegato non dovranno superare quella del primo presidente della Cassazione. Il limite è appunto di 311mila euro fissato a suo tempo dai governo Monti e Letta, ma poi spesso non rispettato, e che il premier Renzi vorrebbe portare a 240mila euro, l’appannaggio del presidente della Repubblica. Nella seconda fascia, dove figurano dieci società tra le quali Coni, Enav, Consip, Sogei, Sogin, Invitalia e Poligrafico dello Stato, il limite è fissato all’80% di quello di prima fascia, ovvero 249.000 euro circa per gli ad. Nella terza serie stanno le società più piccole, come Italia Lavoro, Istituto Luce, Arcus: qui il tetto scende al 50%, poco più di 155mila. Per i presidenti delle società i compensi dovranno rispettare i massimi di 93mila, 75mila e 46mila euro nelle tre fasce.Guardando agli effetti concreti del decreto ministeriale va detto che alcune società hanno già adeguato le retribuzioni ai limiti divenuti ora obbligatori. È il caso di Anas e Invimit, per quanto riguarda la prima fascia, e di Sogin per la seconda. Invitalia e Sogei si sono invece limitate ad adeguarsi al primo tetto mentre ora dovranno scendere e così come le altre società che superano i limiti (tra cui la Rai) saranno costrette ad adeguarsi da aprile. Il decreto non interviene sulle aziende di Stato quotate in Borsa (Eni, Enel e Finmeccanica) o sui mercati regolamentati (Poste, Ferrovie e Cassa Depisiti e Prestiti). Per queste non è previsto un tetto massimo agli stipendi in valore assoluto, spiega il ministero, valgono invece le regole introdotte dal "decreto del fare" del 2013 che prevedono una riduzione del 25% delle retribuzioni in occasione del primo rinnovo degli organi di vertice. Nel caso delle quotate in Borsa le legge dispone che l’azionista pubblico propone in assemblea la decurtazione delle retribuzioni al 75% delle precedenti. Ma senza l’ok della maggioranza dei soci il taglio non ci sarà. Per le altre società quotate invece il taglio diventerà operativo per legge. Nel caso della Cdp, informa ancora il Tesoro, la riduzione del 25% dei compensi del presidente Franco Bassanini (a 225mila euro) e dell’ad Giovanni Gorno Tempini (a 788mila) sono state già stabilite. Per quanto riguarda le Ferrovie, Il Cda ha ridotto di un quarto il compenso dovuto a Mauro Moretti come amministratore delegato, portandolo a 90mila euro. Ma il top manager gode anche di uno stipendio da dirigente da 753mila euro. Proprio Moretti nei giorni scorsi aveva attaccato l’idea del governo Renzi di intervenire con nuovi tagli sulle paghe dei top manager.