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La famiglia, così come l’abbiamo conosciuta, sta evaporando. Se in una percentuale significativa, ma non maggioritaria, ancora tiene, appare impossibile capire cosa succederà tra pochi anni sotto i colpi di una polarizzazione e di una ibridazione crescente. Dobbiamo prendere atto che quella in cui siamo immersi è ormai una società post-familiare in cui i nuclei familiari vanno scomponendosi e riaggregandosi secondo modalità sempre più complesse e cui, soprattutto, la famiglia fondata sul matrimonio e aperta alla vita non è più l’unico modello di riferimento, ma solo una delle possibilità.
«Dobbiamo prendere atto che i modelli di differenziazione delle forme familiari sono inarrestabili e probabilmente sempre più soggetti a tendenze culturali materialistiche, evoluzionistiche e neo-paganeggianti », scrive Pierpaolo Donati, docente di sociologia a Bologna, tra i più autorevoli studiosi della famiglia in Italia, nell’introduzione del Rapporto Cisf 2020 da cui curato. Tra gli aspetti più interessanti del nuovo studio anche un’indagine statistica su un campione rappresentativo di 4mila famiglie da cui emerge la grande eterogeneità dei nuovi nuclei familiari.
L’approfondimento, curato da Francesco Belletti, direttore Cisf, già presidente del Forum delle associazioni familiari, ha inteso valutare la difficile transizione verso il post-familiare prendendo come punto di riferimento lo sguardo stesso delle famiglie. Cosa le protagoniste del cambiamento, di quello che sta capitando? Emergono cinque tipologie. Quella ancora più numerosa è rappresentata dalle 'Solide famiglie intergenerazionali' (27,2%) che attribuiscono ancora un grande significato alla trasmissione dei valori del passato e si sforzano di proiettarli nel futuro.
La famiglia qui è ancora istituzione forte, da difendere e tramandare. In questa tipologia si trova la maggior presenza di anziani, in genere single, residenti al Sud, con basso livello culturale e professionale, ma anche con una forte coesione interna e una buona rete informale extrafamiliare. Per la seconda tipologia (23%), definita nel dossier 'La famiglia prima di tutto', l’istituzione familiare è valore assoluto e irrinunciabile, «importante anche più della sua qualità relazionale», scrive Belletti. La presenza dei figli conta molto, ma più in relazione alla gratificazione degli adulti che come scelta etica. Molto elevata in questo gruppo la presenza di persone che rifiutano impegni civici.
La cura delle relazioni sempre più sganciata da riferimenti strutturati
Abbiamo poi le 'Famiglie aperte e prosociali' (22.1%): grande attenzione solidale per i bisogni di altre persone, anche esterne alla famiglia, mentre appare meno significativa la dimensione istituzionale. Il valore rappresentato dai figli è inteso in modo non narcisistico, privilegiando l’autonomia delle giovani generazioni. Il quarto gruppo è stato definito 'Famiglie individualiste post moderne' (18,5%).
Qui il valore familiare appare meno strutturato, l’orientamento è più individuale, connesso all’autorealizzazione e alla propria felicità, anche se proprio in questo gruppo si segnala un elevato grado di impegno civico e una grande attenzione alle qualità delle relazioni. Infine ecco i 'Minimalisti' (8,9% del campione) dove né il valore famiglia né quello dei figli appaiono significativi. Qui vince l’individualismo vince sulla promessa dei legami, si registra la scarsa tenuta delle relazioni, mentre il sentimento dominante è quello della sfiducia.
Anche alla luce di queste considerazioni Donati, sottolineando la crescente ibridazione delle relazioni familiari, per via artificiale o legale, si interroga sulle conseguenze di questa rivoluzione collettiva di cui è difficile intuire tutte le conseguenze. Ma già ora, annota, c’è uno stretto rapporto tra povertà relazionale nelle sfere familiari e la degradazione delle relazioni umane nel mondo dell’economia e della politica. Ma si tratta di una connessione ignorata dalla politica concentrata «su un modello statalistico di distribuzione dei diritti individuali a burocrazia centralizzata».
Come del tutto ignorate sono le prospettive di cambiamento fotografate nel capitolo statistico curato da Giancarlo Blangiardo e da altri studiosi. Nei prossimi vent’anni avremo, tra le altre conseguenze, il progressivo calo della proporzione di coppie con figli (da 9 milioni a 7-8 milioni) a beneficio delle coppie senza figli (da 5,4 a 6,5 milioni), mentre le persone sole cresceranno del 4,7%. Altro dato che tenderà a crescere quello della permanenza dei figli nella famiglia d’origine fino a età avanzata (fino a 45 anni). Non si tratta di un rifiuto della famiglia come scelta valoriale, spiegano nel Rapporto, Camillo Regalia ed Elena Marta, anche per i giovani tutto ciò che comprende legami e affetti possa essere considerato famiglia