Intervista a Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la sussidiarietà.
Il Meeting della mancanza è diventato quello delle grandi aperture, non senza qualche mugugno interno. Ascoltando Carron, ad esempio, si potrebbe pensare che nel vostro Pantheon Guccini abbia sostituito Chieffo... Carron ama molto i cantautori e uno educato da Giussani ascolta Chieffo ma sa anche cogliere la bellezza là dove si trova, senza chiusure. Tutto qui. (Abituato alla mischia, Giorgio Vittadini incassa la provocazione senza scomporsi. Quella che si chiude oggi è una delle edizioni più complicate di questi trentasei anni di storia del Meeting di Rimini, contrassegnata dallo spopolamento politico del movimento e dalla rinuncia sistematica a posizioni identitarie e di rottura). È appena terminato l’incontro con il premier. Cosa lascia Renzi al Meeting? Il premier non voleva venire perché temeva che voi giornalisti scriveste che il Meeting è pro o contro il governo. Invece è venuto e ha volato alto, parlando del Paese e dell’Europa, del Mediterraneo e dell’economia globale. Era lo scopo dell’incontro e siamo soddisfatti. Ciellini renziani? Abbiamo detto che vogliamo collaborare alla ricostruzione del Paese con chi ha la responsabilità istituzionale il che non significa che siamo d’accordo su tutto con il premier. Diciamo che la collaborazione è tutt’uno con la logica della responsabilità che sgorga dall’io risvegliato, come la figura di Abramo mostra, senza che ciò debba condurci necessariamente a confusioni di tipo partitico. Un po’ vago. Allora diciamo così: questa non è la nascita di un nuovo schieramento politico. Non siamo renziani né antirenziani. Tentiamo un bilancio. Si è partiti dalla mancanza che riempie il cuore per arrivare ad Abramo e al desiderio di risvegliare l’io. Cosa ha risvegliato quello di Vittadini? L’incontro su Abramo effettivamente è stato il cuore di quest’edizione, senza nulla togliere ad altri momenti intensissimi, come la conversazione con padre Lepori. Weiler e Carron hanno saputo risvegliare la percezione che Dio in Abramo vede un alleato responsabile e non un servo e questa condizione si è riflessa in tante testimonianze – penso a padre Ibrahim e alle migliaia di cristiani che vivono oppressi eppure si sentono liberi, penso all’anelito di libertà di Tauran, Gaci e Korsia, di Bertinotti e Sansonetti, di Schriver e di Petrini… Anche chi non ha il dono della fede avverte questo desiderio di responsabi-lità, l’io che agisce dentro, in un tempo in cui molti si rifugiano nei piaceri effimeri o, ancora, e sbagliando, nell’ideologia. Perché invece gli uomini di questo tempo si sentono servi? Come dice Buccellati, Abramo – la nascita dell’io – è incomprensibile ai mesopotamici di allora che credevano nel fato, nel destino, non desideravano una Terra Promessa. Non potevano percepire tutta la consistenza del loro io e riscoprire responsabilità (e doveri). Purtroppo avviene anche oggi. Un dubbio teologico: si parte dalla mancanza che riempie il cuore, pensando di arrivare a Cristo, e si approda invece ad Abramo, poiché è assodato che il messaggio del Meeting sia questo. Ma in questo modo, che sicuramente facilita il dialogo con i credenti delle grandi religioni monoteiste, non si rischia di risvegliare un io 'veterotestamentario'? Non è mica una novità per noi la lezione di Abramo. Il Gius nel 2001 incentrò su questa figura gli esercizi della fraternità e la ragione di quella scelta – e di questa – è che se non comprendi Abramo non comprendi ilVangelo. Il mondo del Vecchio Testamento è quello dei farisei come quello di Maria. Dipende chi scegli di seguire. Maria ci porta nel Nuovo, certo, ma il Vecchio rappresenta pur sempre la storicità della nostra religione e prescindere da questo impedisce di capire che Cristo è un avvenimento. Un Meeting senza politica e un movimento che abbandona il potere e riscopre Abramo non ricordano la scelta religiosa dell’Azione Cattolica, negli anni Sessanta? Non voler essere pars politica non significa ritirarsi dalla Storia ma prendere atto che il mondo è cambiato e che la fede si vive in modo diverso, attraverso il dialogo con le altre culture e le altre fedi. Questo non annacqua la propria identità: in un’altra occasione, padre Pizzaballa ci ha raccontato che ha capito la Resurrezione dibattendone con i rabbini e Papa Francesco parla di una Chiesa in uscita. Il suo invito ad aprirci è i-n-e-q-u-i-v-o-c-a-b-i-l-e. Meeting in uscita, dunque, ma il laico, l’agnostico e l’ateo che percezione hanno di quest’apertura? Posso ripetere quel che dice Brunello Cucinelli: al Meeting si incontrano persone che partendo dalla loro identità desiderano imparare dagli altri. Al Meeting c’è una visione che conduce a un’apertura organica, non velleitaria o affastellata. L’apertura a volte è scomoda, perché alcune scelte sono inevitabili. Per esempio, come conciliare il dialogo con Renzi che loda la globalizzazione e l’adesione al Magistero di papa Francesco che la critica? Distinguendo l’azione di un governo che deve aiutare le imprese italiane a vendere in Cina e si rende conto della rivoluzione geopolitica e geoeconomica in cui siamo immersi, ma senza nulla concedere all’ideologia della globalizzazione che mercifica l’umano.