Don Marco Pagniello - .
Un anno di impegno per imparare a sognare e diventare protagonisti. L’occasione è ghiotta, il bando per il Servizio civile universale che scadrà il 10 febbraio, emanato dal Dipartimento per le Politiche giovanili, ha infatti raggiunto 71.550 posti per l’Italia e l’estero, il numero più alto dal 2001, anno di partenza del servizio civile volontario. Numero forse irripetibile. Anche Caritas Italiana (www.caritas.it), che da 45 anni accoglie giovani in servizio civile prima come obiettori al militare (solo maschi) e ora come volontari (maschi e femmine), partecipa mettendo a disposizione di 124 Caritas diocesane in 16 regioni e 600 sedi operative 175 progetti in Italia, con prevalenza al sud, per un totale di 1.564 posti, oltre a 10 progetti per 42 posti all’estero. E invita i giovani.
«A loro – spiega il direttore della Caritas italiana, don Marco Pagniello - chiediamo di impegnarsi per la costruzione del bene comune non solo perché abbiamo bisogno, ma perché possono aiutare tutta la società civile e la Chiesa a guardare diversamente il presente per costruire un mondo migliore. I giovani sono il presente, come dice papa Francesco, sul quale si costruisce il domani. Li invito a farsi avanti, a mettersi in gioco non solo per impegnarsi concretamente nei servizi, ma per aiutarci a progettare il futuro».
Cosa può dare un anno di servizio civile a chi lo sceglie?
I progetti hanno una durata di 12 mesi. Anzitutto sono un tempo di formazione e informazione per conoscere situazioni che sfuggono ai più. La maggioranza, 136, riguardano il settore dell’assistenza, occupandosi di adulti e anziani in condizioni di disagio, disabili, donne con minori a carico e in difficoltà, migranti e richiedenti asilo. Ci sono poi 36 progetti nel settore dell’educazione e promozione culturale, con attività di animazione culturale verso minori e giovani, tutoraggio scolastico e animazione di comunità, lotta all’evasione e all’abbandono scolastici. Infine, in Italia sono disponibili tre progetti nel settore dell’agricoltura sociale. Nel bando, Caritas Italiana è presente anche con 10 progetti internazionali. Cinque sono dei “caschi bianchi” in Thailandia, Filippine, Indonesia, Senegal, Sierra Leone, Serbia e Bosnia Erzegovina. È un’esperienza che può diventare una scelta definitiva anche dal punto di vista professionale con attività di cooperazione allo sviluppo delle comunità locali e di promozione e tutela dei diritti umani. Le costanti di tutti i progetti sono l’ascolto e l’accompagnamento di persone in difficoltà, a mio avviso chiavi vincenti per vivere un’esperienza che può cambiare la vita o comunque la lettura e l’approccio al reale. E poi viene dato spazio alla capacità di progettare, quindi alla lettura dei bisogni e delle risorse dei vari territori che si trasformano in progetti accompagnati da sogni e desideri. Chi è interessato a fare domanda può contattare la Caritas diocesana di riferimento.
Che frutti ha prodotto il servizio civile universale in 20 anni?
Molti volontari hanno dato seguito alle esperienze fatte confermando gli studi fatti e approfondendo il cammino. Sono convinto che sia una esperienza utile perché fare servizio in Caritas significa fare tanta formazione ed essere aiutati a rileggere le esperienze che si fanno dando un senso a quanto vissuto. È la nostra caratteristica, non ci interessa la manovalanza, ma la crescita.
Il servizio in Caritas è sempre stato ispirato alla difesa non violenta della patria. Qual è il contributo dell’anno di servizio alla pace?
Educa a leggere le situazioni con occhi e categorie di pensiero diverse. L’incontro con gli ultimi dona questo sguardo nuovo che va oltre il giustizialismo e la semplice difesa dei propri diritti. È questo il grosso contributo che un’esperienza dedicata agli altri può dare alla costruzione della pace.
La maggioranza dei progetti approvati è nel Mezzogiorno. Che valore ha questa presenza?
Può essere utile se non viene vissuta come esperienza transitoria in mancanza di alternative. Se invece è un’occasione di apprendimento e progettazione allora diventa una grande possibilità per un futuro diverso. È una grande opportunità di aiutare i giovani a restare al sud.
Si è parlato di recente di ripristinare il servizio civile obbligatorio. Da obiettore di coscienza che ne pensa?
Sarei favorevole se, però, si ritorna a quel modello, altrimenti avrei molti dubbi. Riflettiamoci perché spendere un anno della propria vita, fermarsi e provare a dare il proprio contributo alla società è importante, aiuta ad allargare lo sguardo e a non pensare solo a se stessi. Anche a livello educativo scelte come la vita comunitaria e la disponibilità piena devono essere al centro, altrimenti meglio continuare così.
LE STORIE DI CHI HA FATTO OBIEZIONE DI COSCIENZA
Ha sempre sognato di vivere a Sarajevo, affascinato da quel crocevia di etnie e storie dei Balcani. Paolo Castelli, 28 anni, laureato in storia, ha passato adolescenza e prima gioventù ad aiutare i migranti di passaggio, a Roma prima, e a Ventimiglia poi, da varie rotte – compresa quella balcanica –, insegnando l’italiano ai profughi e aiutandoli a far valere i propri diritti. Da giugno 2021 a giugno 2022 ha provato a mettere insieme le sue passioni passando un anno indimentabile come “casco bianco” della Caritas italiana in servizio civile universale proprio a Sarajevo.
«La Caritas – spiega Paolo – è una delle organizzazioni che prova a rendere meno dura la vita nei campi profughi. Ho prestato servizio a Ušivak, uno dei centri di accoglienza temporanea dove vivono i reduci della Rotta Balcanica. Sono famiglie afghane, curde e siriane con bambini, minori non accompagnati e giovani. Al Social Corner del campo animavo le giornate organizzando attività ricreative e formative e distribuendo tè e caffè per costruire relazioni». Oggi Paolo lavora per la Caritas di Roma dove si occupa di avviare alla cittadinanza attiva i rifugiati ucraini. Cosa è rimasto dell’anno da casco bianco? «Una sana rabbia perché ho visto come l’Ue ha esternalizzato i confini e considera l’immigrazione solo un reato».
Genova ha un vero e proprio hub di progetti giovanili. Il Campo Base dedicato alla memoria di don Piero Tubino, padre della Caritas genovese, è sede dell’Area giovani e servizio civile. «Qui – spiega Paolo Bruzzo, 54 anni, obiettore di coscienza con don Piero, e oggi responsabile del servizio civile universale per la Caritas diocesana del capoluogo ligure - i 18, tra ragazze e ragazzi in servizio civile, possono scegliere anche la vita comunitaria. E qui offriamo momenti di formazione e animazione sociale anche per le altre attività che coinvolgono i giovani». Per volontà dell’arcivescovo Marco Tasca vivono al Campo base e partecipano ai servizi i seminaristi dell’ultimo anno. Le attività si svolgono con senza dimora, rifugiati con bambini e famiglie fragili in diversi centri, compresa la casa che ospita malati di Aids, per accompagnarli verso l’autonomia. «Offriamo un anno in difesa di persone fragili e di confronto con altri coetanei, di formazione e conoscenza di se stessi. È sempre difficile per un ventenne creare relazioni con gli ultimi, qui li prepariamo a farlo». Cosa resta dell’esperienza? «È un anno di semina, la rielaborazione in ciascuno ha tempi e modi diversi. Qualcuno si ritira, per gli altri l’opportunità di crescere da protagonisti è autentica».