Gianluigi De Palo - .
«Questo è il momento giusto per superare gli egoismi. Già gli egoismi. Quelli dei garantiti rispetto ai non garantiti. Quelli dei padri rispetto ai figli. Il mio egoismo rispetto ai miei 5 figli. Stiamo prendendo in prestito dall’Europa 209 miliardi. Una cifra mostruosa per riaccendere i motori dell’Italia. Tutto bello. Tutto giusto. Ma quei miliardi non li pagheremo noi padri, li pagheranno i nostri figli. E allora abbiamo il dovere di metterli nella condizione di farcela. Di restituirgli un’Italia giusta. Con più scuola, più ricerca, più innovazione, più lavoro. Un’Italia che sappia difendere l’ambiente e vincere le disuguaglianze. E ora, all’improvviso c’è Mario Draghi... ». Gigi De Palo si ferma e sorride. «Ho una richiesta per il futuro presidente del Consiglio. Anzi due richieste. Le richieste del Forum delle Associazioni familiari. Le richieste delle famiglie italiane. Declini il suo wha- tever it takes, il suo costi quel che costi, restituendo centralità alle giovani generazioni. Le metta al centro del 'Progetto'. Crescita e rinascita passano da loro». Il presidente del Forum racconta l’Italia nella stagione del Covid. Le rinunce. I sacrifici. I momenti duri. «Le famiglie hanno retto l’Italia. L’hanno tenuta in piedi. Hanno dimostrato coraggio. Responsabilità. Ma ora tocca alla politica e a chi guiderà il governo. Servono riforme coraggiose per proteggere il presente e il futuro delle famiglie. E servono ora. Anzi i momenti di crisi sono i momenti migliori per rompere gli schemi. Sono occasioni uniche per fare quello che non si è mai fatto. In Francia il quoziente familiare è stato fatto durante la Seconda guerra mondiale…».
Draghi deve dar vita a un fisco a misura di famiglia?
Se le famiglie reggono, regge l’Italia. Se le famiglie corrono, corre l’Italia. Draghi conosce l’Europa e conosce l’attenzione che l’Europa ha verso la famiglia. L’Italia è rimasta indietro e deve recuperare il terreno perso. Direi che a livello politico sarebbe strategico partire da qui. La sensibilità c’è. La volontà c’è. Negli ultimi mesi ho incontrato, uno a uno, tutti i leader politici. E tutti mi hanno detto di essere pronti. È così, mi creda. Tutti sono uniti su un Patto per la natalità. Tutti hanno detto sì all’assegno unico e universale per i figli. A Draghi spetta il compito di spingere questo progetto e magari di arricchirlo. Perché è un uomo con una visione e perché è un padre.
«La politica c’è. E i momenti più complicati sono quelli per fare quello che non si è mai fatto. La Francia varò il quoziente familiare durante la Seconda guerra mondiale»
Che cosa vuol dire arricchire il progetto?
Chiudere la stagione dei bonus e aprire quella delle riforme strutturali. Abbiamo rubato un pezzo di futuro ai nostri ragazzi con scelte scellerate e con un egoismo imperdonabile. Ora non possiamo pensare di pareggiare i conti con una mancia. Non basta un cerotto per una ferita così profonda. Draghi sa che un giovane su quattro non studia e non lavora. Sa che lo stipendio di un neo laureato è più basso di una pensione media. E sa che ogni anno migliaia di giovani lasciano l’Italia perché in Italia non si fa ricerca e perché spesso il merito non viene premiato. Serve un cambio di passo e serve ora. Lavoro, lavoro, lavoro. E poi sostegno alle famiglie. Con l’assegno unico e con una seria riforma fiscale che tenga conto dei carichi familiari si può davvero invertire la rotta e fermare il declino.
Ci crede?
Insisto: la famiglia unisce. Draghi parta da qui: sarebbe una scelta di incredibile valore politico. Sarebbe un segnale vero, forte, a quelle famiglie che non hanno mai perso la fiducia. Ecco, fiducia è una parola bella per raccontare un clima. Mi piace poi legarla a altre due parole: speranza e unità. L’Italia è forte se si mostra capace di fare squadra, i solisti vincono solo qualche battaglia… Draghi dovrà rialzare un Paese stanco. Superare un drammatico e infinito inverno demografico. Ecco l’altra grande questione sociale. Non solo in Italia, ma in tutto il Vecchio Continente. Perché far ripartire le nascite è il primo investimento per un Paese che vuole aprirsi al futuro. Senza capitale umano, crolla tutto: le imprese, il sistema pensionistico, il welfare, la sanità, consumi. Due grandi tempi, due grande sfide. Non ci può essere sviluppo sostenibile senza riequilibrio intergenerazionale. Riflettiamoci tutti: per una famiglia crescere un figlio in Italia oggi costa quanto comprarsi una Ferrari.
Ecco il punto che torna: l’Italia non è un Paese per giovani.
Proprio così, non lo è. Ma io non mi rassegno. Non mi perdo d’animo. Non accetto di immaginare i miei figli in un altro Paese collegati via Skype. Devono farcela qui. Non è giusto che l’Italia nel solo 2019 abbia bruciato 6 miliardi perché i nostri giovani se ne vanno. Non è giusto rinunciare alla loro fantasia, alla loro qualità, alle loro idee. Il Recovery fund si chiama Next Generation Eu: se non saremo capaci di usare quei 209 miliardi per far nascere bambini e dare ai giovani un futuro adeguato, tanto vale cambiargli nome.