martedì 29 aprile 2014
 Il premier spinge: accordo al 98 per cento, qui per fare cose o prendano un altro.
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Una cosa proprio non la digerisce Matteo Renzi e la confida ai suoi, riuniti in un clima nervoso al gruppo di Palazzo Madama: «Non mi aspettavo mica queste resistenze: credevo che approvare le riforme entro il 25 maggio fosse interesse di tutti di fronte a un’Europa che ci guarda. Non l’avrei visto come un successo del Pd ma di tutti i partiti». Se però è un problema di agenda, «allora possiamo prenderci più tempo e trovare un compromesso che accontenti tutti, perché nessuno deve restare fuori, neppure Forza Italia. A parte Grillo, che ha scelto la sua strada». Qui il premier si fa ancora più serio. Il timore dell’offensiva dei Cinquestelle è concreto. Nessuno lo sottovaluta. «I sondaggi non sono una Verità. Dobbiamo reagire. Proprio per questo potevamo presentarci in Europa con una credenziale in più».Un discorso aperto, pacato, ma molto serio, che convince tutto il Pd. Compresa quella minoranza decisa a dare battaglia sulla revisione costituzionale della seconda Camera. «Le riforme non saltano», assicura e ripete anche più tardi Renzi. «Credo che Berlusconi ha tutto l’interesse a stare nel pacchetto». E ai timori espressi all’Altare della Patria, il 25 aprile, da Napolitano, tutti rispondono con rassicurazioni importanti. Il segretario del Pd, durante l’assemblea del gruppo, manda anche «un saluto affettuoso al presidente, non a caso attaccato da Beppe Grillo e Berlusconi». Ma ora che l’agenda è cambiata e i lavori riprenderanno tra una settimana, spiega ancora, si troverà un compromesso che partirà da una sintesi di tutto il Pd. Perché, insiste molto conciliante con i suoi, «la nostra proposta è in continuità con quella dell’Ulivo e della campagna elettorale di Bersani». Anche la legge elettorale resta nei confini già tracciati dai democratici. Insomma, la relatrice Finocchiaro in tandem con il relatore di minoranza Calderoli possono ben attingere alle proposte di largo del Nazareno. «Il clima è cambiato», ammette Vannino Chiti, guida della fronda contraria al testo del governo. Lo stesso Renzi concede modifiche sostanziali nel merito: un maggior numero di rappresentanti delle Regioni rispetto ai sindaci, il peso delle Regioni in base alle dimensioni territoriali, e un passo indietro sui 21 nominati dal Quirinale, che potrebbero ridursi o anche scomparire dal testo. Sul vero nodo, cioè l’elezione dei senatori, Renzi si presenta ai suoi con una mediazione inaspettata: lasciare che ogni singola Regione legiferi sulle modalità di elezione dei propri senatori. Soluzione difficile da percorrere, per la disomogeneità che si avrebbe in Senato. Quanto alle garanzie, si allargano i collegi per l’elezione del capo dello Stato, che così non diventa espressione della maggioranza della sola Camera. Aperture importanti, dunque, e slittamento. Ma non paralisi: «Per 15 giorni in più nessuno si scandalizza. Basta che non sia un modo per rinviare». Altrimenti, chiosa Renzi, «io non ho vinto un concorso, prendano un altro».
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