I primi attesi voti in Aula sulla riforma del Senato slittano ancora. Nessuno arretra di un passo. Né la minoranza Pd né la fronda di Forza Italia. Non arretra M5S, che promette, letterale, “100mila sassi” sui binari del governo. Non arretra Sel con il suo vagone da 6mila emendamenti.Al Senato, chiudendo la prima parte di discussione generale, il ministro Maria Elena Boschi entra in conflitto aperto con i pentastellati, definendo un’ “allucinazione” l’accusa di autoritarismo rivolta al governo. In realtà, la titolare delle Riforme ha tenuto in Aula un discorso tutto rivolto all’ampia maggioranza che dovrebbe far passare il superamento del bicameralismo perfetto: “Sono 30 anni che aspettiamo, 30 anni che perdiamo l’occasione con la storia”, dice la giovane ministra renziana mentre la sua voce viene coperta da fischi e cori degli oppositori a Cinque stelle.Risultato: la presidente della Commissione affari costituzionali, Anna Finocchiaro, ammette che oggi non si vota. Niente di drammatico, a sentire Boschi: “Lavoreremo un po’ di più, sacrificheremo un po’ di ferie”, fissando di fatto il “sì” finale intorno al 10 agosto, se non oltre. Anche Renzi (proprio in queste ore sta tornando dalla sua missione in Africa) cerca di far giungere parole rassicuranti: “Abbiamo atteso tanto, possiamo aspettare qualche giorno…”.In realtà il treno procede piano per motivi politici oltre che tecnici. Si temeva che una condanna a Berlusconi avrebbe potuto farlo deragliare. Ma anche l’avvenuta assoluzione sta avendo effetti strani sul cammino delle riforme. L’ex Cavaliere e Alfano, ieri, con una telefonata, sono tornati a parlarsi e a parlare di un nuovo soggetto politico di centrodestra ispirato al popolarismo europeo. Un’evoluzione che impatta sul cammino dell’esecutivo, perché è facile pensare che da ora in poi Fi ed Ncd proveranno a viaggiare compatti su nuovo Senato, legge elettorale e riforma della giustizia.Renzi è dunque ora chiamato ad una nuova sfida: far procedere le riforme senza farle affossare dagli ennesimi mutamenti politici. Ha tra le mani un’arma forte: la possibilità di sparigliare e andare al voto, accusando i “frenatori” di rallentare il cambiamento dell’Italia. Il premier fa filtrare il concetto come una minaccia. Ma non è detto che non diventi una scelta se il freno a mano messo alle riforme si coniugasse con un autunno economico freddissimo.