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Non si può, come ha fatto la Corte d'Appello di Milano, "far dipendere la sussistenza" della violenza sessuale "dal tempo di reazione della vittima", né stabilire che "un atto sessuale protrattosi per un periodo di tempo pari a 20 o, al massimo, 30 secondi esuli" dalla contestazione di abusi. Lo ha scritto il sostituto pg di Milano Angelo Renna nel ricorso in Cassazione contro la sentenza di assoluzione. Il 24 giugno la prima sezione penale della Corte d'Appello milanese (giudici Flores Tanga-Alessandra Simion-Alessandro Santangelo) aveva confermato l'assoluzione dall'accusa di violenza sessuale per un ex sindacalista in servizio a Malpensa nei confronti di una hostess, che a lui si era rivolto, nel 2018, per una vertenza sindacale. Una sentenza che già in primo grado aveva fatto discutere e che, anche dopo il verdetto d'appello, era stata bollata dall'Associazione Differenza Donna, con l'avvocata Maria Teresa Manente, come un passo "indietro di 30 anni". Anche la legale, che rappresenta la donna come parte civile, ha presentato ricorso in Cassazione.
Nel motivare l'assoluzione la Corte d'Appello milanese aveva sottolineato invece "come l'imputato non abbia adoperato alcuna forma di violenza - ancorché si sia trattato, effettivamente, di molestie repentine - tale da porre la persona offesa in una situazione di assoluta impossibilità di sottrarsi alla condotta". Condotta, scrivevano ancora i giudici, che "non ha (senz'altro) vanificato ogni possibile reazione della parte offesa, essendosi protratta per una finestra temporale", "20-30 secondi", che "le avrebbe consentito anche di potersi dileguare".
Nel ricorso, con cui chiede di annullare la sentenza e in cui cita giurisprudenza della Cassazione, il pg Renna fa presente che, a differenza di quanto sostenuto dalla Corte milanese, "la volontà del soggetto è tutt'altro che irrilevante". I giudici di secondo grado, che hanno confermato l'assoluzione decisa dal Tribunale di Busto Arsizio (Varese), sbagliano nell'applicare la norma sulla violenza sessuale, scrive la procura generale, "giungendo implicitamente a ritenere del tutto irrilevante la presenza di un dissenso da parte della vittima e la sua valutazione da parte dell'imputato". Per loro conta in questo caso solo il "tempo di reazione". E ciò, scrive il pg, contrasta con tutta la più recente giurisprudenza sul "consenso", secondo la quale "non rileva" che "non sia stato percepito un dissenso, ma è necessario che si abbia la ragionevole certezza che vi sia un consenso pieno, iniziale e permanente".
In più, spiega sempre la procura generale, "la Corte nel valutare evidentemente tardiva la reazione della persona offesa non ha in alcun modo motivato perché abbia ritenuto irrilevanti le dichiarazioni" della donna. La decisione dei giudici di primo grado e di appello contrasterebbe inoltre, secondo il ricorrente, anche con principi costituzionali come quello della "libertà personale dell'individuo", inoltre c'è una "motivazione contraddittoria", perché prima si sostiene che ci sono stati "toccamenti repentini" e poi si dice che "non può sussistere l'ipotesi degli atti sessuali repentini", parlando sempre a proposito dei 20-30 secondi. Non sono state considerate, poi, le dichiarazioni della donna che ha denunciato e ha messo a verbale di essere stata "colta di sorpresa" e ha riferito che "prima di reagire, valutò, oltre alla diversa corporatura, la circostanza che i due fossero soli", in un "ufficio vuoto", con la porta "chiusa". E non è stata considerata infine la frase che l'uomo le avrebbe detto poco prima dei presunti abusi, ossia "sfogati pure tanto non c'è nessuno".
"Il mio assistito - aveva sostenuto invece, il difensore, l'avvocato Ivano Chiesa - non ha potuto, perché non era possibile, percepire un dissenso immediato, ma quando la presunta persona offesa ha espresso il suo diniego si è immediatamente fermato".