In nome di Adriano Olivetti, Matteo Renzi cala un colpo di scure sugli stipendi dei «megadirigenti» pubblici. Non si potrà guadagnare più di 240 mila euro. Anche il primo presidente della Corte di Cassazione, il cui compenso di 311 mila euro era finora l’asticella massima, si vedrà decurtare 71 mila euro l’anno. Un intervento che non è un «attentato alla libertà e indipendenza della magistratura», dichiara Renzi. Il premier non ha gradito le critiche ricevute ieri dall’Anm e lo dice chiaro e tondo: «Mi aspetto che i giudici non commentino» le bozze di legge. Parole che provocano una reazione piccata dell’Associazione magistrati: «Le leggi, come le sentenze, si rispettano, ma si possono commentare». Il presidente dell’Anm Rodolfo Sabelli ricorda, poi, le «prerogative di natura costituzionale» della magistratura. E lamenta di non aver avuto «alcun tipo di interlocuzione» con il governo sulle misure adottate, che rischiano, sostiene, «di essere non eque, colpendo solo alcune categorie». Non ci sono totem intoccabili, per il giovane presidente del Consiglio. Renzi dice di augurarsi che anche i due rami del Parlamento per i loro dirigenti compiano «il gesto molto bello» di applicare un tetto "secco" di 240mila euro annui alle retribuzioni. Il premier ha deciso di ribattezzarla "norma Olivetti", perché si ispira al principio «sacrosanto» per cui nessun dirigente può guadagnare più di dieci volte lo stipendio del dipendente. Dunque, niente scaloni, come ipotizzato alla vigilia: il tetto «insormontabile» è fissato a «20 mila euro al mese», per tutti. E non è un taglio «così drammatico», anche considerato che «è più del doppio del guadagno del premier». Ci sarà una fuga di dirigenti «al privato»? «Brivido», ironizza Renzi. «Avranno la nostra lettera di referenze e di auguri...».