Una scuola cattolica in una foto di archivio - Boato
I docenti della scuola cattolica? Non solo «professionisti dell’educazione, ma uomini e donne che sentono anche la responsabilità di una solida formazione culturale e umana». È l’identikit che emerge dal nuovo Rapporto del Centro studi scuola cattolica (Cssc), che annualmente offre un tema di riflessione sulla scuola cattolica.
«Dietro al titolo del Rapporto "Chiamati ad insegnare" – spiega nella presentazione il vescovo Mariano Crociata, presidente della Commissione episcopale per l’educazione cattolica, la scuola e l’università –, si cela infatti una riflessione sul ruolo chiave che gli insegnanti hanno in una scuola cattolica per farsi mediatori di un particolare progetto educativo». Un progetto che caratterizza la scuola cattolica e che chiama in causa il rapporto tra cultura e fede, ma anche tra fede e vita personale.
Il Rapporto 2020 - giunto alla sua 22ª edizione - pone proprio i docenti e la loro formazione al centro dell’indagine e della riflessione, perché, come spiega Sergio Cicatelli, coordinatore scientifico del Cssc della Cei, «abbiamo la convinzione che la buona scuola sia fatta da buoni insegnanti più che da buone soluzioni organizzative e amministrative», che comunque non devono mancare, come è stato anche sottolineato nel webinar svoltosi ieri per presentare l’indagine, presenti, oltre a Crociata e Cicatelli, il professor Giuseppe Savagnone e il professor Onorato Grassi, moderati dal direttore dell’Ufficio Cei per la scuola Ernesto Diaco. Buoni insegnanti «sono decisivi, come si è potuto vedere in occasione della chiusura delle scuole da marzo a giugno».
Il Rapporto cerca di fotografare l’attuale situazione dei docenti impegnati nelle scuole paritarie osservandone sia la formazione iniziale, sia l’atteggiamento personale verso la fede e verso il progetto educativo dell’istituto nel quale operano. L’indagine, che costituisce la seconda parte del Rapporto (nella prima si affrontano i tema del rapporto fede-cultura, della natura della professione docente e del profilo con uno sguardo generale e teorico), evidenzia come i docenti che hanno risposto al questionario per il 74,3% abbia conseguito la laurea in un ateneo statale, il 15,8% in uno cattolico e il 5,1% in uno ecclesiastico.
Guardando dunque il percorso formativo iniziale si nota come questi docenti negli studi non abbiano avuto mai «riferimenti religiosi indispensabili per chi poi va ad insegnare in una scuola cattolica». Diventa, quindi, importante il fatto che il 61% dei docenti al loro ingresso nell’istituto paritario sia stato affiancato da un collega anziano, «un valore aggiunto per le nostre scuole».
Ma cosa spinge a scegliere l’istituto cattolico per insegnare? Nell’ordine «l’ambiente positivo, una scelta di vita, il desiderio di educare ai valori cristiani (anche se la maggioranza del campione dichiara di comportarsi normalmente nell’azione educativa lasciando che siano gli studenti a cogliere le motivazioni cristiane), l’essere ex allievi, persino la mancanza di alternative e per ultimo l’impegno ecclesiale». Dunque pur essendo consapevole della responsabilità di aderire al progetto educativo della scuola cattolica e ai suoi valori, «prevale una immagine "laica" del docente», poco legato a «un impegno ecclesiale nella professione», pur dichiarandosi non indifferenti alla fede. Anzi: tre su cinque si definiscono credenti e praticanti, uno su cinque credente non praticante e in pochi si definiscono estranei alla dimensione religiosa.
Anche il Rapporto 2020 non si limita a illustrare lo stato delle cose, ma avanza delle proposte. Questa volta riguarda il cammino formativo iniziale per i futuri docenti della scuola cattolica: un percorso specifico di formazione incardinato in un ateneo e con un titolo di specializzazione spendibile ovunque. Una sfida che la scuola cattolica sembra disposta a raccogliere.