Il direttore della rivista "Il Mulino" Mario Ricciardi
«Fedez serve in questo momento al Pd perché difende un suo progetto di legge. Ma sarebbe sbagliato farsi prendere la mano dalla politica delle celebrities. Non è questo che può salvare la sinistra». Per Mario Ricciardi, direttore della rivista 'Il Mulino', la sinistra «si salva se riesce a ricreare un’alleanza virtuosa tra ceti produttivi e chi sta meno bene e ha bisogno di una mano per non scivolare giù». Salernitano classe 1967, docente di Filosofia del diritto alla Statale di Milano, Ricciardi dirige dal 2018 la rivista che da decenni è il pensatoio del centrosinistra bolognese che all’Italia ha dato un politico come Romano Prodi. Nell’ultimo fascicolo il sociologo Carlo Trigilia analizza proprio le ragioni per cui la sinistra ha perso presa sulle classi più deboli.
Partiamo dai social. Gira una vignetta in cui Lenin dice al cantante che un giorno la sinistra sarà sua. Al di là del paradosso ironico, che significato ha affidare una piazza storica, in una data simbolica come il primo maggio, a un personaggio che appare così lontano dai valori tradizionali?
Non parliamo più di una manifestazione politica come era un tempo. Oggi è un concerto, organizzato dalla Rai, con gli sponsor, anche grandi imprese. È chiaro che si cerchino personaggi popolari, soprattutto tra i giovani.
Una presenza che ha comunque suscitato reazioni.
Qui c’è già un dato politico. Fedez sostiene che c’è stata censura. Ma la censura è un’altra cosa: di solito c’è nei regimi autoritari e prevede l’uso della forza. Qui un dirigente, forse in modo un po’ maldestro, ha cercato di non avere noie.
Negli anni Novanta si disse che i lavoratori avevano votato Berlusconi per il 'sogno' veicolato dalle tv. Oggi si dice che votano Lega o Fdi perché la sinistra ha abbandonato i territori, le periferie. Come la vede?
È vero che negli ultimi decenni la sinistra ha perso la capacità di parlare a ceti come gli operai, che non sono più una classe intesa marxisticamente, ad alcuni lavoratori dipendenti, e al ceto medio impoverito o che teme di impoverirsi. Ha invece inseguito un altro tipo di consenso, quello della parte più dinamica della società. In una fase storica, però, in cui questa è andata molto rimpicciolendo per una serie di fattori: prima una crisi economica gravissima e ora la pandemia.
Cosa non ha funzionato?
Negli anni Novanta si voleva creare un’alleanza tra chi sta bene e chi sta meno bene, in modo da rilanciare l’economia e fare in modo che il benessere fosse per tutti, a ricaduta. È l’idea del trickle down (sgocciolamento, ndr) che pochi giorni fa Joe Biden ha attaccato, perché fallita. Sappiamo che chi è in posizione di vantaggio difende i propri interessi e la ricchezza si concentra verso l’alto.
Ma la soluzione è Fedez? E, poi, non si rischia, cavalcando temi divisivi, di avverare quella che fu la previsione di Augusto Del Noce sul Pci destinato a trasformarsi in partito radicale di massa?
Sulla prima domanda: credo proprio di no. Peraltro non credo neppure che in questo momento i dirigenti della sinistra, Enrico Letta e gli altri, perseguano la strategia del 'partito radicale di massa'. Questa ha avuto il suo momento negli anni Ottanta, quando sulla spinta di Craxi si profilava una crescita socialista che poteva assorbire i partiti laici. Oggi c’è un altro clima. Siamo nel mezzo di un grande cambiamento. E la politica è debole e incerta. I leader hanno timore a stabilire una rottura netta con il passato, come ha fatto Biden negli Usa. Quindi si cavalcano iniziative o personaggi popolari. Ma questi influencer difendono una volta una posizione una volta l’altra. Il rischio è di farsi dettare troppo l’agenda da iniziative estemporanee e da personaggi che in fondo non hanno una visione politica, una visione ragionata della società. Quella che dovrebbero avere i partiti.