David Sassoli vola alto e parla chiaro. Molto applaudito durante l’intervento che suggella la quarantesima edizione del Meeting per l’Amicizia tra i popoli, il presidente del Parlamento Europeo inanella una sequenza ben calibrata di citazioni, da Giorgio La Pira a don Julián Carrón, da Pio XII a Dietrich Bonhoeffer, per culminare nell’appello personalista di Emmanuel Mounier, uno dei padri nobili del progetto europeo che fin dalla fondazione ha avuto la caratteristica di pensare «in cattolico».
Si guarda alla storia, tra lo scandalo della Shoah e la strage di Sant’Anna di Stazzema, senza per questo trascurare il presente, questo tempo impervio nel quale (sono ancora parole di Sassoli) «il dovere democratico» viene svilito a «bestia da social». Il bersaglio polemico è evidente, anche se in fondo il salvinismo viene presentato come caso particolare all’interno di un fenomeno molto più vasto. «Se guardate a come si è estesa l’onda nera del sovranismo, con i suoi rigurgiti antisemiti e il suo razzismo – avverte Sassoli –, vedete che ha puntato ai Paesi di più forte tradizione cattolica e alla divisione del loro cattolicesimo: Polonia, Ungheria, Slovacchia, Croazia, Italia sono stati territori nei quali si è puntato a spaccare il cattolicesimo, per spaccare il Paese e spaccare l’Europa».
Europa: tra valori da riscoprire e nuove sfide da affrontare è il titolo dell’incontro, introdotto dal presidente della Compagnia delle Opere, Bernhard Scholz. Il discorso di Sassoli è preceduto dalle testimonianze provenienti dalla società civile: Giovanni Bruno riassume l’impegno del Banco Alimentare, Pino Morandini ribadisce la centralità della famiglia nella prospettiva del Movimento per la Vita, Silvio Cattarini descrive l’emergenza educativa così come è quotidianamente sperimentata nelle sedi della comunità terapeutica L’Imprevisto.
«I segni dei tempi ci dicono che le nostre società sono pervase da forti ondate di disgusto, immense delusioni, istituzioni che non vengono riconosciute come la casa comune in cui garantire le nostre libertà. Ma l’Europa, non dimentichiamolo, è il suo diritto», sintetizza Sassoli, indicando il criterio da seguire per evitare di cedere alla tentazione del disgregamento nazionalista. «Condivido sillaba per sillaba ciò che il cardinal Bassetti è venuto a dire al Meeting sulla crisi di visione di cui il Paese soffre – prosegue –, ma sono venuto anche a dirvi che io e voi dobbiamo interrogarci sulla nostra quota di responsabilità in questa crisi».
Il suo è un ragionamento schiettamente pragmatico: «Pensiamo ai problemi che abbiamo, ai problemi che ha l’Italia... La sfida ambientale, la sicurezza, le questioni finanziarie, gli investimenti, la lotta alla povertà, l’immigrazione, il commercio internazionale, la politica agricola, industriale, la sfida tecnologica. Quali di queste grandi questioni possono essere affrontate dai nostri Paesi da soli? Nessuna».
Sassoli rimanda alla centralità che i concetti di complessità e interconessione rivestono nel magistero di papa Francesco e, nello stesso tempo, denuncia con durezza quelle «frange e sette che rivendicano di essere la vera Chiesa e che vengono chiamate a fischiare il Papa in una piazza italiana». E ancora, in modo non meno esplicito: «I cattolici hanno il dovere di opporre il profumo di una passione di verità cristiana a chi ancora oggi osa agitare i simboli della nostra fede come amuleti, con una spudoratezza blasfema».
Sassoli richiama come esempio virtuoso per l’attuale crisi italiana il percorso che ha portato all’elezione di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione Europea, esorta a respingere la seduzione dei «pieni poteri» e sollecita l’impegno «per una riforma del regolamento di Dublino, che il Parlamento europeo ha votato a grande maggioranza – ricorda – e che stabilisce che chi arriva in Italia, Malta, Spagna, Grecia arriva in Europa ed è l’Europa a doversene occupare. Invito anche da qui, con voi, il Consiglio europeo a tirar fuori dai cassetti quella riforma e approvarla». Perché l’Europa è «uno spazio aperto, partecipato e solidale», afferma. Meglio ancora, è «un porto sicuro».