mercoledì 2 maggio 2018
Il leader della Lega Salvini rilancia un dialogo con M5s sulle riforme e la legge elettorale, per aggiungere un premio di maggioranza. Tra i democratici ci si prepara alla Direzione
Matteo Salvini, leader della Lega, punta a ricevere dal Presidente un pre-incarico

Matteo Salvini, leader della Lega, punta a ricevere dal Presidente un pre-incarico

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«Perché no?». Ora che sono state vagliate tutte le ipotesi, che finora non hanno portato a risultati concreti, è il leader del centrodestra Matteo Salvini a tornare sulla possibilità di un pre-incarico a lui, perché possa verificare un consenso anche al di fuori del centrodestra che in Parlamento, ad oggi, non avrebbe i numeri certi per governare. Il leader della Lega lancia il suo ennesimo «o noi o voto» ieri dal palco di Grumello del Monte (Bergamo) durante una festa di partito, ribadendo anche che non digerisce affatto l'idea di un governo istituzionale. «Proverò a cercare in parlamento quella forza per fare le cose che ci chiedono gli italiani - dice arrivando a Grumello -. Ci proverò fino all'ultimo, ma partendo dal centrodestra che è la prima coalizione e ha vinto in Molise e Friuli». Dunque chiederà un pre-incarico per fare un governo? «Perché no?», risponde ai cronisti. Ciò che è chiaro, ricorda, è che non si tratta per un esecutivo «con il Pd: si ragiona con i 5 Stelle o altrimenti c'è il voto». Anche stamattina Salvini ha chiesto di nuovo ai grillini di «non rimanere arroccati» sulle proprie posizioni, invitandoli a sedersi ad un tavolo per discutere di riforme e non di poltrone. E nel pomeriggio ha ribadito a Di Maio: "Se si vuole continuare a fare capricci, a litigare e a fare i bambini arroganti, ognuno fa le sue scelte, proviamo a fare tutto da soli". Aggiungendo: "Non ho più voglia di rispondere a insulti o fantasie, la
proposta è chiara se si vuole fare un governo, si fa e si parte, se si vuole cominciare a far lavorare il Parlamento votando i presidenti di commissione, si fa e si parte" Intanto "aspettiamo Mattarella che ha gli elementi per decidere".

Salvini: un tavolo con il M5S, su pensioni, lavoro, fisco...

«Sono umilmente a disposizione da oggi pomeriggio, quando e dove si vuole, con chi si vuole, in diretta o non in diretta, a sederci attorno a un tavolo con il M5S partendo dalla riforma delle pensioni, del lavoro, del sistema fiscale, del sistema giudiziario, del sistema scolastico, punto per punti, senza professoroni, per decidere come si fanno queste riforme», il suo appello.

Tra i temi da affrontare con i pentastellati anche la legge elettorale, sul cui testo attuale - sottolinea - bisognerebbe «mettere un premio di maggioranza che garantisca a chi prende un voto in più di governare. Non vogliamo perdere due anni di tempo, l'unica modifica possibile è prendere questa legge elettorale aggiungendoci due righe sul premio di maggioranza». Poi rispondendo a Luigi di Maio che lo aveva accusato di guardare alle poltrone dice: «Non rispondo a insulti e sciocchezze su soldi e poltrone, per noi lealtà e coerenza valgono più dei ministeri. Voglio dare un governo agli italiani, se i grillini preferiscono litigare lo faremo da soli. Bloccare anche la partenza dei lavori delle commissioni parlamentari è da irresponsabili». Ma adesso tutto è tornato nelle mani di Sergio Mattarella, come sottolinea il neo governatore del Friuli Massimiliano Fredriga stamane a Radio Capital.

Di Maio attacca Salvini. E insiste sul ritorno alle urne

Mentre sembrano ormai improbabili elezioni a giugno, come aveva chiesto il leader M5s Luigi Di Maio. Stamane il pentastellato su twitter è tornato ad invocare le elezioni, perché «non è possibile nessun governo del cambiamento con Berlusconi e il centrodestra. Salvini ha cambiato idea e si è piegato a lui solo per le poltrone. Si torni subito al voto!». E continua da attaccare Salvini.
"Non è possibile nessun governo del cambiamento con Berlusconi e il centrodestra. Salvini ha cambiato idea e si è piegato a lui solo per le poltrone. Si torni subito al voto!", scrive il leader del M5S su twitter postando anche una dichiarazione del leader leghista del 2012, in cui Salvini diceva "no a possibili assi tra Carroccio e il Cavaliere", "nessun leghista è disposto a puntare ancora su un'alleanza con Berlusconi".

E poi rincara sul blog pentastellato: "Non resta che tornare subito al voto. Noi non abbiamo alcun problema nel farlo perchè ci sostengono i cittadini con le piccole donazioni. Altri invece si oppongono perché, tra prestiti e fideiussioni, magari hanno qualche problemino con i soldi. Ma l'Italia non può rimanere bloccata per i guai finanziari di un partito (La Lega, ndr). Al voto".

La base 5 Stelle scalpita sul blog

È confusa la base M5s dopo la chiusura da parte del M5s dei due forni e la richiesta di Luigi Di Maio di tornare al voto. Sul blog delle Stelle il post del capo politico contro il leader della Lega i commenti spaziano da chi approva la linea dei vertici e chi vede come un pericolo il ritorno alle urne. Molti inoltre chiedono di essere consultati sul web. Intanto su Facebook, sulla pagina del leader Di Maio, va in scena la "guerrigliàa"tra il popolo 5 stelle e quello del Carroccio a suon di rimproveri e rivendicazioni su nuove e antiche reciproche offese.

Sul blog delle Stelle, invece, sono soprattutto gli iscritti al M5s ad esprimersi. Tommaso, ad esempio, dice di essere «completamente d'accordo» sul veto ad «un politico che possiede reti televisive, giornali radio» e sostiene quindi la linea Di Maio ma già un altro iscritto, Roberto, è dubbioso: «Vuoi le elezioni ma sei cosciente che non potrai candidarti? Questo è il tuo secondo mandato. Oppure alla chetichella apporterai unilateralmente un'altra modifichina "ad personam" al regolamento 5stelle? Se lo farai guarda le regionali in Friuli e pensa che non potranno che peggiorare le cose».

Mattarella attende la direzione Pd

Il presidente della Repubblica comunque aspetterà l'esito della direzione Pd, prevista domani, per annunciare le sue decisioni dopo il fallimento dell'intesa tra democratici e M5s, ma vorrebbe un governo in grado almeno di far approvare la legge di Stabilità (va presentata a ottobre e approvata dal Parlamento entro il 31 dicembre) prima di tornare alle urne nel 2019. L'esigenza di far approvare la manovra finanziaria è infatti una priorità del Colle e questo presupporrebbe un governo che arrivi almeno a dicembre. In un quadro di grande incertezza, tuttavia, non è però del tutto escluso il ritorno alle urne già a settembre-ottobre, se le forze politiche non riuscissero a trovare alcun tipo di accordo.

Il Quirinale comunque non intende neanche affidare un mandato alla cieca a un leader politico che vada poi a cercare i voti in Parlamento, ma vuole prima vedere i "numeri", cioè la presenza di un'effettiva maggioranza nelle due camere. Ieri il vice-segretario leghista Giancarlo Giorgetti ha ipotizzato, in alternativa, un governo a tempo che approvi soltanto una nuova legge elettorale per evitare il ripetersi dell'attuale stallo.

Aspettando la direzione Pd. Polemiche e tensioni

Il Pd riunirà domani pomeriggio la direzione, che potrebbe trasformarsi in una resa dei conti tra l'ala che fa capo all'ex segretario Matteo Renzi, che ha affondato l'ipotesi di una trattativa con il M5s sul governo, aprendo solo a un esecutivo che vari una riforma costituzionale ed elettorale, e le altre correnti. Per ora si sa che tutte le componenti del Pd che non fanno capo a Renzi, sono orientate a chiedere domani in direzione un voto sul mandato del reggente Maurizio Martina fino all'assemblea nazionale.

Ma se dovesse esserci una divisione nella direzione Pd, domani, non ci sarebbero più le condizioni unitarie che avevano permesso, derogando allo statuto, di rinviare l'Assemblea nazionale dopo le dimissioni del segretario. Lo riferiscono fonti vicine al presidente del Pd Matteo Orfini. Se si verificasse una spaccatura, spiegano, la conseguenza sarebbe convocare immediatamente l'Assemblea per decidere se eleggere un nuovo segretario o convocare il congresso, già nel primo weekend utile, il 12-13 maggio.

"Di certo - spiega Dario Franceschini - non ci divideremo sulla prospettiva di un rapporto coi 5 Stelle che non è più sul tavolo dall'intervista di Renzi di domenica sera e le conseguenti reazioni di Di Maio. Ora il tema è un altro. Si tratta di restituire autorevolezza al partito nel percorso delle consultazioni".
Per l'unità serve "un voto esplicito di fiducia della Direzione al segretario reggente, atto minimo ma indispensabile per dargli la forza di gestire una fase così difficile, sino all'Assemblea o al Congresso, vedremo", aggiunge il ministro della Cultura.

Pd: i numeri della direzione, Renzi parte da 117 a 77 su un totale di 209

La direzione del Pd riflette i numeri del congresso, nel quale Renzi si impose con il 70%, davanti ad Orlando (20%) ed Emiliano (10%). Ma al congresso sostennero Renzi anche le componenti di Dario Franceschini, di Matteo Orfini, di Maurizio Martina e quelli vicini a Walter Veltroni. Sui 209 esponenti della direzione, 117 fanno riferimento a Renzi, compresi 13 «turchi» di Orfini e 3 legati a Graziano Delrio. L'area Franceschini conta invece 20 componenti, Martina 9, gli amici di Veltroni un paio.
Delle minoranze Andrea Orlando ne conta 32 e Michele Emiliano 14. In totale, tutti i gruppi non legati a Renzi mettono insieme 77 voti. Ma ci sono inoltre una quindicina di componenti della direzione che non hanno ancora fatto sapere come voteranno.
L'incognita per Renzi è rappresentata da diversi ex parlamentari che non sono stati ricandidati e domani potrebbero distanziarsi dall'ex segretario. Una prima cartina al tornasole dei rapporti di forza del Pd è rappresentata dal documento dei renziani che chiede di non votare domani in Direzione e che, secondo i sostenitori dell'ex leader, avrebbe raccolto la firma di 116 parlamentari: non tutti sono membri della Direzione, dove siedono invece alcuni ex deputati ed ex senatori.
Nel gruppo Dem in Senato il documento dell'area Renzi avrebbe raccolto l'adesione di 39 senatori su 52. Stessi rapporti di forza nel gruppo della Camera, dove le adesioni al documento sono 77 su 111 deputati. Bisogna però distinguere tra renziani di stretta osservanza, come il capogruppo al senato Andrea Marcucci, e i cosiddetti «renzisti», come il capogruppo alla Camera Graziano Delrio o Matteo Richetti, che si è già candidato al prossimo congresso: questi hanno sostenuto l'impostazione riformista di Renzi ma su diversi punti divergono dall'ex segretario. Ad esempio Delrio si è pronunciato su un congresso ravvicinato, diversamente da Renzi. Rispetto alle firme raccolte oggi sul loro documento nei gruppi parlamentari, i renziani di stretta osservanza sarebbero una decina in meno al Senato e una quindicina in meno alla Camera.

Una raccolta firme per evitare le conte interne al Pd

Tuttavia alla vigilia della direzione, le acque nel Partito democratico restano agitate. Soprattutto alla luce di un documento, predisposto dai renziani, per una raccolta firme tra i parlamentari per evitare le conte interne domani. Nel documento si ribadisce infatti che lo stallo politico è «frutto dell'irresponsabilità» di M5s e centrodestra e si dice sì al confronto ma niente fiducia «a un governo guidato da Salvini o Di Maio».

Rimossi i nomi dei favorevoli e contrari all'accordo con M5S

Al momento sarebbero state raccolte le firme di 77 deputati su 105 e 39 senatori su 52. Un gesto che ha scatenato l'ira del reggente Martina e di Dario Franceschini.

Ed è quest'ultimo via twitter a prendersela soprattutto con il sito "senzadime.it" che riportava fino a qualche ora fa i nomi dei dem favorevoli e contrari all'accordo con M5s, poi rimossi. «Quando in una comunità politica alla vigilia di una discussione seria che riguarda il partito e il Paese si arriva a questo - scrive - c'è qualcosa di profondo che non va».

L'ipotesi del governo del presidente

Al di là delle diatribe interne ai partiti, però, in assenza di un qualsiasi accordo tra forze politiche, il Quirinale esclude che resti in carica il governo Gentiloni, a meno di un quanto meno impossibile rinnovo della fiducia in Parlamento. Quindi, andando per esclusione, si torna all'ipotesi di un governo del presidente incaricato da Mattarella (ma l'idea non piace a Salvini) che, anche se non ottenesse la maggioranza in Parlamento, resterebbe comunque in carica fino a nuove elezioni.

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