lunedì 31 marzo 2014
Il Cdm approva il ddl costituzionale. Duello Renzi-Grasso. Il premier: riforme o lascio. Giannini (Sc): troppa fretta. Fi: proseguire lavoro su Italicum.
Ancora più duro dire «no» di Marco Tarquinio
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Il Consiglio dei ministri ha dato il via libera  al ddl costituzionale che riforma il Senato e il titolo V, riduce il numero dei parlamentari, sopprime il Cnel e le Province. In una conferenza stampa a Palazzo Chigi il premier ha detto che il provvedimento è stato approvato "all'unanimità" e che dovrà essere varato "in prima lettura entro il 25 maggio", data delle elezioni europee, perché, "di fronte al crescere del populismo e del sentimento anti politica, se la politica fa il suo mestiere e cambia tutto è più semplice".Renzi ha aggiunto che il Parlamento "migliorerà, valorizzerà" il testo del governo ma che restano quattro "paletti": fra le competenze del nuovo Senato non ci dovranno essere il voto di fiducia, il voto su bilancio, e restano capisaldi il no all'elezione diretta dei senatori e all'indennità per i senatori.Questo piano delle riforme sarà anche "il piatto forte del Def", ha aggiunto il presidente del Consiglio: "Non so se ci sarà lieto fine ma questo è un buon inizio, il segno di una classe politica che ha capito che è finito il tempo dei rinvii".Il disegno di legge nasce da un progetto condiviso dal Pd con il leader dell'opposizione Silvio Berlusconi e rafforza le chance di ripresa economica dell'Italia, secondo quanto detto da Renzi al termine del cdm, presentando la riforma della Costituzione che prevede tra l'altro la fine del bicameralismo perfetto e la trasformazione del Senato in una camera non elettiva espressione delle autorità locali. "Un progetto che vale un'intera carriera", ha aggiunto il premier, dopo aver ribadito nel battage mediatico degli ultimi due giorni che sul piatto ci sono le sue dimissioni: "Se non passa la riforma, finisce la mia storia politica".A poche ore dall'annuncio del varo a Palazzo Chigi, è arrivata la spinta del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, per il quale, senza entrare nei dettagli del progetto, "è improrogabile il superamento del bicameralismo paritario".A Berlusconi Renzi ha ricordato di "non avere motivi per dubitare che rispetterà l'accordo del Nazareno" che verteva sì sulla legge elettorale, ma anche "e soprattutto" sulla riforma del Senato e del Titolo V. Quanto al Pd, parlando "da segretario del partito", ha assicurato al leader di Forza Italia che avrà "una posizione di grande condivisione di questo progetto".Tra i maggiori critici della proposta del governo c'è però il presidente di Palazzo Madama Pietro Grasso [eletto tra le fila del Pd] che vorrebbe senatori ancora eletti dal popolo sebbene con funzioni diverse da quelle dei deputati. Renzi lo ha rintuzzato dicendo in una successiva intervista a Sky che, a prescindere dalla veste nella quale ha parlato, "non sono d'accordo; non credo che si possa continuare con senatori eletti".Ma "se qualcuno vuole assumersi la responsabilità" di far fallire la riforma del governo, ha aggiunto, sappia che rischia di affossare la timida ripresa dell'Italia. "Oggi l'interesse dei capitali internazionali per l'Italia è alta, lo spread è giù e questo deriva anche e soprattutto dall'idea che le cose possono cambiare davvero. Guai a noi se buttiamo via questa chance". Un altro affondo contro la linea del premier, questa volta non tanto sul contenuto quanto sui tempi,arriva dal ministro dell'Istruzione Stefania Giannini. "È un po' inconsueto che sia il governo a presentare una proposta di legge su questo tema. Serve che il Parlamento ne discuta per ritoccare e migliorare alcuni aspetti" ha detto intervistata da Radio Città Futura. "Anche se non credo che il verbo aspettare appartenga al vocabolario del presidente del Consiglio che ha fatto della rapidità, oltre che dell'efficacia, la chiave del successo di questa fase politica e su cui noi lo seguiamo - ha aggiunto l'esponente di Scelta civica - se il metodo diventa anche l'obiettivo può rivelarsi pericoloso".

E le sue affermazioni sembrano risvegliare la fronda anti-riforma. In un documento, 25 senatori Pd, guidati da Francesco Russo, rivendicano di non essere "meri esecutore" e invitano Renzi "ad ascoltare le tante voci" e a "non porre ultimatum". Pippo Civati annuncia che nelle prossime anche verrà presentata una proposta di riforma costituzionale diversa dal ddl del governo che prevede, al contrario di quella del governo, un Senato elettivo. Libertà e giustizia, poi, lancia un appello dal titolo "Verso la svolta autoritaria", che ha come primi firmatari Gustavo Zagrebelsky e Stefano Rodotà. "Stiamo assistendo impotenti al progetto di stravolgere la nostra Costituzione da parte di un Parlamento esplicitamente delegittimato da una sentenza della Corte costituzionale", si legge nel testo che viene sottoscritto da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio che parlano a loro volta di "deriva autoritaria".

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